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STUDI DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI MOLTRASIO
1 (2001), pp. 23-30
IVO MANCINI
IL TESTAMENTO DI GATTONI TRA REALTA’, MENZOGNA E PREVEGGENZA
Il canonico Gattoni, personaggio estroso e stravagante, è forse uno
dei preferiti soggetti di studio per chi si avventura nel periodo napoleonico
in Como; tra le sue numerose opere occupa una posizione di tutto rilievo il
Testamento [1], libello con il quale, con molta fantasia
ed ironia, proponeva la sua personale ricetta per modificare la realtà
mediante i propri lasciti testamentari, che si sarebbero accresciuti per secoli
grazie agli interessi derivanti dalla capitalizzazione di un fiorino ricevuto
in tenera età.
Ed alla bizzarria di tal personaggio ispiriamo, dunque, questo articolo tra
il serio ed il faceto, in cui raffrontiamo il Testamento che chiameremo
“letterario” con il documento testamentario reale, da noi rinvenuto
nella primavera 1999 nell’archivio di Stato cittadino ascrivibile al nostro
canonico [2]. Considerato che tale testamento è rimasto
sigillato per più di duecento anni, riteniamo che il Gattoni abbia successivamente
testato, abrogandolo. E’ dunque aperta la caccia al testamento definitivo
del canonico. Chissà quali sorprese ci potrà riservare.
Gattoni, dunque, presentò il proprio testamento al notaio Gaetano Perti
il 18.09.1794 secondo la forma che, nel profilo giuridico, il ius commune
definisce scritta (“che dice contenersi nel plicco di carta dal medesimo
alla presenza di me Notaro”) davanti ai testimoni don Giacomo Porro (il
quale aveva anch’egli testato nello stesso giorno, come riporta in nota
il documento: “Andiamo a fare lo stesso dal Sig. Dr. Perti io e il Sig.
C.co Porro ed il Sig. Dr. Perti resta pagato per tutti e due li testamenti”),
Cesare Bonanomi, Tommaso Butti, Pietro Perego, Antonio Dubini di Bregnano, Gervaso
Rovena, e Felice Botta; per secondi Giacomo Pusinelli, Francesco Fasola e Giuseppe
Argenti. L’atto è datato 4.4.1794 e non dovuto a malesseri fisici,
di cui il Gattoni era spesso afflitto, infatti leggiamo sul rogito: “sano
per la grazia di Dio di mente, senso, loquela, vista ed intelletto, ed anche
di corpo, il quale per prevenire il caso della morte”.
E nel nostro “parallelo” proprio qui registriamo la prima similitudine,
giacché anche nel libello il nostro testatore esordisce: “Vengo
pertanto al Testamento rogato solennemente nello studio del saggio Dottore Gaetano
Perti” (p.7).
Che il più giovane dei fratelli Perti fosse depositario del testamento
di Gattoni non deve sorprendere, poiché il canonico era legato da profondi
vincoli d’amicizia sia ad Antonio che a Gaetano, noti professionisti dell’alta
borghesia cittadina, cosa che ribadisce nel Giornale Gallo-cisalpino
[3], ove dichiara di servirsi di tale notaio per la cura dei
propri interessi, lodandone le doti definendolo “onestissimo e giusto”.
Premesso ciò non meraviglierà, dunque, tra le varie disposizioni,
scoprire quali beneficiari entrambi i Perti: “Lascio ai Sig.ri D.ri Perti
tutti gli scritti, e rogiti che si troveranno in Casa mia; eccettine quelli
che appartengono a la prebenda, ed al Collegio Corti [4],
che dovranno essere consegnati ad essi”.
Tutto il Testamento fantastico ruota attorno alla bizzarra teoria impartita
al Gattoni dallo zio Giacomo Lucini, il quale, donandogli uno zecchino nel suo
decimo compleanno, gli aveva inculcato l’insegnamento per cui “nel
corso di 100 anni un capitale impegnato si moltiplicava 131 volte”. Il
capitale derivava dalle 500 £. di cui 400 restituite “dall’ufficiosissimo
Ex Commissario Staurenghi” (personaggio il quale doveva avergli confiscato
del denaro negli anni francesi, cui dunque Gattoni non risparmia strali, infatti
così lo descrive: “Aveva pur fissato come dogma di celestiale fede,
che a favore della causa pubblica melius est accipere, quam dare, quando
ritrovatasi forzato dall’ultima particella del dare, alcune volte, ma
non sempre, da’ dolori acutissimi era assalito al pericardio” (p.132).
Inoltre, qualora costui fosse restio alle restituzioni, il Gattoni consiglia,
secondo la migliore delle tradizioni italiche, di rivolgersi al “generosissimo
Ex Governatore Visconti”.
Da tale somma deriverebbe, secondo le ipotesi del Gattoni, un patrimonio così
da poter beneficare non soltanto la propria città ma l’intera società.
Le prime cento del capitale di cinquecento lire (“non toccata per 100
anni diverrà £. 13100”) costituiscono il fondo per una serie
di borse di studio destinate a finanziare:
- una “dissertazione teologica, che avrà ben sviluppato le ragioni
di M.se Scipione Maffei, e dell’Abate Genovesi a sostenere la legittimità
degl’interessi che produce il prestito del denaro, ed avrà pienamente
confutato le obbiezioni degli Scrittori loro rivali” (p.10);
- un’opera ispirata al principio “Tutte le leggi sono vane e ridicole
pel Governo d’un popolo senza costumi” (p.11);
- ancora sull’argomento “quanto frivoli, ed assurdi sieno stati
gli arzigogoli finora sparsi sopra la Libertà, ed Eguaglianza dalli moderni
antievangelici Filosofi” (p.11: contro le idee liberali e rivoluzionarie
provenienti dalla Francia);
- ed infine alla “migliore memoria, colla quale si provi, che l’unico
Popolo felice sarà quello, il quale rispetti con sommissione di cuore,
e d’intelletto non solo i precetti, ma anche i consigli del Vangelo, e
che in genere d’ecclesiastica disciplina altra non se ne può avere
di quella stabilita da Concilj, da Sagri Pastori, e la concordata con la Podestà
del Secolo” (pp.11-12).
Col secondo lascito (che in due secoli avrebbe raggiunto la ragguardevole cifra
di £ 1.700.000) sono ancora assegnati premi per chi si distingua in azioni
virtuose, opere scientifiche e profane di tema etico-religioso, in agricoltura,
belle arti, discipline giuridiche e militari (giovani istruiti “nell’arte
che previene la decadenza dell’umana natura”).
La terza parte (stimata nel giro di 3 secoli a £ 226.000.000) di cui 196
milioni destinati a finanziare la fondazione di 500 Case Patriottiche di gratuiti
prestiti, amministrate da ecclesiastici e probi cittadini. Ben di maggiore interesse
il residuo destinato a costruire in Como quella cittadella del sapere cui forse,
in qualche maniera, risponde oggi l’Università. Chissà oggi
come commenterebbe Gattoni l’Università dell’Insubria, gestita
a Varese e che conta a Como solamente una sede decentrata, due poli siti in
edifici fatiscenti, nell’angusta sede di via Cavallotti quello umanistico,
nella palazzina di via Valleggio quello scientifico; di un complesso di S. Abbondio
che attende in un futuro imprecisato di ospitare la facoltà di Legge;
di una convalle piena di aule ma priva di uno spirito veramente universitario.
Il primo progetto edilizio riguarda la fondazione di un Museo a Como, tema molto
caro al nostro religioso, il Rovelli, infatti, annota nella sua storia che il
Gattoni, a causa dello studio della fisica sperimentale e storia naturale “cominciò
nell’anno 1765. a formare in casa propria, e andò di mano in mano
accrescendo un bel museo, o sia una raccolta doviziosa delle varie produzioni
dei tre regni della natura, minerale, vegetabile, ed animale, a cui in questi
ultimi anni aggiunse una rara, e copiosa serie di armi, ed instrumenti militari
usati ne’ passati secoli, il qual museo arricchito eziandio di altre cose
rare, e pellegrine, è in grande pregio, ed ammirazione anche presso de’
forestieri” [5].
Il museo del Gattoni rappresenta, infatti, una vera e propria cittadella universitaria:
è costruito su una zona che va dalla sua casa a S. Ambrogio, dotato di
un enorme giardino con tutte le piante. Vi si insegnano agricoltura e tutte
le scienze, escluse cosmologia e geologia.
Vi trova posto una cappella, un’aula per la musica, un laboratorio di
chimica, una sala per le dimostrazioni di fisica, un osservatorio astronomico
ed una galleria contenente la biblioteca cittadina (anche qui note dolenti per
la Como del ventunesimo secolo).
Tale cittadella del sapere è gestita da 40 letterati comaschi ivi alloggiati,
con tanto di segreteria, disegnatori ed incisori. E’ stabilito poi un
preciso codice comportamentale per i dipendenti, i quali debbono dichiarare
di essere “di buoni costumi, di non avere mai avvilita la sua penna nello
scrivere contro la nostra Religione Cattolica, ed il Governo da Dio stabilito,
né con satire contro alcun Cittadino, e l’Italica Repubblica”
(p. 30).
Inoltre si precisa che “Dalle Sagre Cattedre saranno sempre esclusi quelli,
che avessero in addietro bevuto il veleno delle Dottrine dannate della Lombarda
Setta [6], e tendessero a rompere l’unità della
Sacra Romana Chiesa” (p.23); dell’avversione di Gattoni per le teorie
riformiste della Chiesa ed in primo luogo per le dottrine pavesi vi è
un chiaro accenno anche nel testamento “reale”, dove sono esclusi
dalla cerimonia funebre del testatore e dalle celebrazioni anniversarie “coloro,
che per disgrazia dè tempi, fossero ammessi a quel rispettabile corpo
ed avessero fatto gli studj teologici a Pavia, oppure ne sostenessero l’anticatolica
Dottrina, che Iddio li preservi per sempre”.
Se la città della scienza rappresenta una fantasia che discende dalla
Città del Sole di Tommaso Campanella e dalla Nuova Atlantide
baconiana, di vero sappiamo però che il Gattoni fu il primo comasco a
donare alla città un museo, che passò poi al Liceo Volta –
con “patriotica generosità” aggiunge il Rovelli – e
comprensivo “di minerali, di conchiglie appartenenti ai 4 generi di testacei
del Linneo, di marini zeofiti e litofiti ora detti piant-animali,
di legni colorati naturali, di antichi e moderni lavori eseguiti colla pietra
di amianto, di quadrupedi ed uccelli limitatamente però a quelli del
territorio Lombardo, di farfalle d’ogni specie e rarità, e d’insetti”,
nonché di una collezione d’armi [7].
Proprio degli interessi scientifici del Gattoni abbiamo conferma nel testamento
laddove si afferma: “Se la casa Settala di Milano vorrà avere di
nuovo senza alcun prezzo il dente di Narval, il Corno di Rinoceronte, e l’avorio
fatto in tromba, che trovasi nel gabinetto ultimo, si mandino ad essa”.
Tornando alla città del sapere la biblioteca annovera “libri scelti,
nuovi, ben legati, e non saccheggiati in alcuna parte del mondo, ed adattati
al bisogno”, inoltre, “essa deve essere aperta al pubblico comodo
ogni giorno dell’anno eccettuatene le feste di precetto”, in essa
vi sono lezioni di lingue morte e vive (in particolar modo segnaliamo l’avversione
del canonico per i classici cui sono preferite le opere della Patristica); per
lo meno il Gattoni potrebbe, oggi, essere soddisfatto della presenza in città
di un fondo librario vastissimo, in cui accanto alla biblioteca comunale vi
sono le dotazioni di Liceo Volta, Università, Istituto Perretta, Museo
e associazioni culturali.
All’epoca del Gattoni, leggiamo nel Rovelli, esisteva in città
una biblioteca pubblica fondata nel ‘600 da Francesco Benzi ed accresciuta
con opere provenienti dai corpi religiosi soppressi: “Ora trasportata
dalla suddetta casa del Collegio de’ Dottori all’odierno liceo aspetta
la sua riordinazione” [8]. Accanto ad essa vi erano
raccolte private, tra cui quella del nostro canonico, che possedeva di certo
una collezione di discreto valore, soprattutto legata alle scienze naturalistiche
da lui approfondite, ne troviamo traccia anche nell’atto d’ultima
volontà: “E ricordandoli che de’ libri, de’ quali ho,
per il mio stato, speso assai, quelli della storia delle farfalle sono stati
pagati in ragione di lire tre per ogni carta di figure miniate”.
Prima di procedere ad un nuovo passo della nostra “ucronia” è
doveroso ricordare l’aneddoto per cui Gattoni è maggiormente famoso;
cioè gli esperimenti elettrici sulla torre cittadina che da lui prende
oggi il nome. Dice infatti Rovelli:
“Non riservò per sé che una spranga elettrica isolata e
singolare nella sua specie da lui già da quasi otto lustri eretta da
prima nel suo giardino, indi sopra una torre allo spalto della Città,
la quale spranga per mezzo di un conduttore, cioè di un cordoncino isolato
di ottone lungo piedi 380 ed introdotto in una stanza della sua casa comunica
con un ben disposto apparato di campanelli. Questi suonano rapidissimamente,
e talvolta per molte ore di seguito al comparir di nube temporalesca, e prima
che odasi il tuono, ed ivi per tal modo l’elettricità atmosferica
ora con pioggia blanda di scintille, ed ora con ispaventoso scroscio presenta
tutti i fenomeni, che si ottengono per mezzo delle macchine artificiali, e mette
in chiaro la teoria del fulmine” [9].
Al punto che il Testamento consiglia: “sarà bene l’acquistare
le torri della cinta urbana, sopra le quali si faranno anche tutte l’osservazioni
meteorologiche proseguendole con ardore per ottenere, se è possibile,
quel fine, che finora inutilmente s’è ricercato” (p.24).
Gattoni destina la quarta parte della sostanza (300 bilioni dopo 4 secoli) per
costruire 100 città da 150.000 anime nei luoghi più convenienti
d’Italia come una sorta di colonie da popolare con “quegli infelici
popoli tanto poco favoriti dalla natura”; cioè “Finlandesi,
Groenlandi, Isolani del Mar Equatoriale, adusti della Zona torrida”. Chissà
oggi le frange estremiste della nostra società, così poco inclini
alla presenza di stranieri su territorio patrio, cosa penserebbero di questa
singolare immigrazione a fini sociali.
L’ultimo legato è quello di maggior valore ed interesse sul piano
del fantastico: 3900 bilioni in cinque secoli per l’estinzione di tutti
i debiti della Repubblica italiana, francese, e degli Stati austro – tedeschi.
Il momento in cui maggiormente emerge dagli odi mai sopiti nei confronti dei
francesi, lo spirito filoasburgico del canonico: “Supplico i signori Tedeschi
a non ricusare questo debole contrassegno di riconoscenza d’un uomo, che,
non ostante, che di presente Repubblicano, ho goduto i benefizi del lor moderato
governo pel corso di quasi tutta la sua vita, e n’aspettava ancora di
molt’altri, quando meglio si fossero rettificate le loro buone intenzioni”
(p.45).
Tra l’altro è molto curiosa la clausola apposta che forse nel rapporto
governatori – sudditi maggiormente incide; che cioè “Consoli,
Presidenti e Magistrati Repubblicani siano invitati a procurar in avvenire,
che tutti i Commissari generali, e particolari, Prepositi, Tesorieri, Esattori,
Finanzieri, Quartiermastri e Registratori, prima d’esser posti all’impiego
debbano subire il più rigido e severo esame d’Aritmetica”
(p.43).
In questa atmosfera di comunità internazionale Gattoni ipotizza un organismo
sopranazionale che esamini e suddivida le erogazioni economiche a favore dei
popoli (una sorta di ONU), una “Dieta composta dai Deputati di tutte le
Nazioni dovrà ogni 10 anni radunarsi a Milano al Foro Bonaparte”,
obbligando i governatori a rinunciare alle smanie di conquista e, soprattutto,
alla tratta degli schiavi.
In questa quinta parte di lascito emerge, infine, anche l’aspetto filantropico
del canonico, il quale, dopo aver lanciato appello alle Nazioni per combattere
la schiavitù, si fa carico di altri problemi di natura sociale:
- l’allattamento di bambini ed esposti: “la necessità, in
cui trovansi d’avere un soccorso le povere donne, le quali, in tempo che
nodriscono i bambini, non possono guadagnarsi col lavoro il pane; il bisogno,
in cui ritrovansi tante misere incapaci ad allattare, le quali o aggravano gli
Ospedali, o lascian perire la prole per mancanza de’mezzi” (p. 83),
- l’acquisto di terreni non coltivati da trasformare in fondi quali “benefizi
campestri” per le coppie di sposi novelli,
- la creazione di case d’educazione nelle cure d’anime di campagna,
40.000 case di lavoro pubblico: “in queste ogni uomo, o donna avrà
il diritto di presentarsi in qualunque ora per ricevere alimento, e lavoro (p.
92),
- la creazione di Case di salute presso ogni parrocchia per somministrare gratuitamente
soccorsi alimentari, medicinali, letti e “ogni cosa bisognevole ai pazienti”.
Quella del Gattoni è una profonda analisi delle reali necessità
del tempo, necessità che soprattutto in periferia e nelle campagne avevano
quali unico interlocutore il curato; che la sensibilità del Gattoni in
questo campo fosse profonda quanto la sua acutezza critica lo dimostra nel testamento
reale la scelta quali eredi, in mancanza di prori familiari, dei poveri della
città:
“istituisco miei eredi universali li poveri che vengono soccorsi dal Direttorio
di questa città di Como, come più bisognosi accioche preghino
per le anime di mia famiglia”.
Strettamente connessa al discorso sull’assistenza è la nomina degli
esecutori testamentari; coloro cioè che alla morte del testatore avrebbero
provveduto, nel concreto, a realizzarne la volontà; nel testamento reale
sono nominati tali l’Arcidiacono e l’Arciprete della Cattedrale
di S. Maria, affinché, assistiti da un funzionario del Direttorio, provvedano
alla vendita dei beni lasciando loro in compenso 7 quadri ed un crocifisso d’avorio
“perché così qualche volta, che li cadano sott’occhio
possano ricordarsi di pregar pace e riposo all’anima mia”.
Nel Testamento letterario, invece, l’individuazione di queste persone
è solo l’occasione per cantare le lodi degli amici più stretti:
“ I.° Il celeberrimo Prof. di Pavia, e delegato dal Congresso di Lione
Alessandro Volta, membro di molte Accademie
II.° Il Padre de’ Poveri Dottor di Leggi, Membro del Corpo Legislativo,
Giacomo Mugiasca
III.° Il delegato al Congresso di Lione l’edificante rispettabile
Rafaele Rajmondi
IV.° Il delegato al Congresso di Lione Dottor di Leggi, e Membro del Corpo
Legislativo, Tommaso Odescalco
V.° Il discreto amante di Belle Lettere Francesco Torre
VI.° Il buon padre di famiglia l’onorevole Carlo Martignoni
VII.° Il generoso e giusto Cesare Somigliana
VIII.° Il sottile Logico eretto Economo Giovanni Porro
IX.° Il timorato, e divoto Canonico Giovanni Battista Bellasio
X.° Il pacifico amante del Prossimo Benigno Canarisi
XI.° Il giocondo sociale, ed allegro viaggiatore Giuseppe Guajta
XII.° Il perspicace Fisico Carlo Carloni, delegato dal Governo per la vaccinazione,
ma con poco vantaggio della mia Patria” (pp.125 – 127).
Forse però nell’ultima parte del Testamento letterario Gattoni
raggiunge il culmine della sua utopia disegnando la Como perfetta, alla quale
destina i restanti 3200 bilioni della quinta parte, un progetto bizzarro e sui
generis che l’espansione urbanistica del XX secolo ha, in parte, realizzato.
“Vorrei pertanto, che la Città fosse dilatata a comprendere i due
Borghi di Vico, e S. Agostino, togliendole quella sconcia figura cancrina”
(p.112). Per far ciò, deridendo anche alcuni progetti dell’epoca,
propone di riempire il primo bacino del lago: “è necessario lo
scavare un nuovo letto alla Cosia dalla parte di Santa Croce, rompere il masso
di strati verticali sino al Suburbano di Genio, separarlo dall’angolo
saliente del monte, e dare lo scolo delle acque del Torrente dietro le nuove
mura della Città nel Lago. Le acque di questo poi bisogna farle retrocedere
fino a Grumello con linea retta all’altra sponda in prospetto” (p.112),
il materiale da impiegare in tale opera viene individuato nelle alture soprastanti,
grazie al quale si potrà “riempiere il fondo di quel pezzo di Lago
co’materiali tolti dalle creste del Monte di S. Abbondio col doppio vantaggio
di avere più di due ore di sole ne’giorni d’inverno sopra
la Città” (p.113).
Un progetto che ha lasciato un’eco preoccupata per la tutela delle alture
che oggi fanno parte della Spina Verde. Forse è meglio gettare acqua
sul fuoco, nel senso che questa previsione è solamente una delle paradossali
possibilità proposte dal Gattoni.
Tornando al piano urbanistico della Como immaginaria, Gattoni propone un’integrazione
completa tra centro e periferia:
“Il Borgo S. Bartolomeo lo vorrei allargato in proporzione, ed unito alla
Città vecchia, e che si producesse colle fabbriche ad occupare tutte
le campagne della Camerlata, Arrebbio, e Breccia” (p.114). Disegno compiuto
a distanza di due secoli.
Il centro cittadino viene tracciato e realizzato in modo geometrico, tanto che
le case non allineate debbono essere demolite: 12 porte in granito spiccano
nelle possenti mura che cingono la città, 6 piazze, 8 portici, 12 fontane,
2 giardini pubblici con tutte le piante utili della campagna.
Nell’edilizia pubblica risalta la proposta di edificare due statue gigantesche
dei Plinii: quella di Plinio il Vecchio sulla spiaggia di Innocenzo Odescalchi,
quella di Plinio il Giovane sulla riva di S. Agostino, “a condizione però
che si obbedisca al decreto Apostolico di Mons. Bonomi, deputato della S. Sede
di Visitator della Chiesa di Como, per togliere dalle sagre mura della Cattedrale
le altre due statue de’Plinj, che l’ignoranza de’tempi fece
collocare, sebbene pagani” (p.105).
Destino peggiore tocca invece eventuali ritrovamenti archeologici di oggetti
romani – dei quali invece il Giovio fu un appassionato collezionista –
soprattutto ad argomento mitologico, per i quali Gattoni ingiunge: “Anzi
se di queste se ne ritrovassero allora delle prime, come pur troppo or si veggono,
voglio, che sieno fatte in polvere, e gettate al vento, perché troppo
offendono la morale de’ buoni Cristiani d’uno Stato, nel quale domina
la Religione Cattolica Apostolica Romana” (p. 116).
Così, tra testamenti veri e falsi, usando le parole di Gattoni, consegniamo
questo libercolo ai posteri “E così sia”.
Per chi invece conservi ancora una qualche curiosità giuridica è
d’uopo proseguire la nostra analisi; nonostante nel Testamento
Gattoni abbia giocato con cifre alquanto paradossali, dobbiamo considerare che
egli apparteneva sia alla nobiltà, che al clero, e la sua condizione
agiata si può evincere dal valore della proprietà stimato nel
testamento reale: mobilio e statue nella casa di città per il valore
di 2000 zecchini, la mobilia dei possedimenti di Maccio, la biblioteca personale,
il museo e tutto il laboratorio. Da altre fonti sappiamo che, con l’avanzare
dell’età, quest’ultimo fu smembrato in donazioni di vario
genere, tra cui “in gran parte con patriotica generosità al Liceo”,
Liceo Volta che ancor oggi conserva quell’antica e preziosa collezione.
Secondo l’uso del tempo viene nominato erede il fratello Abbondio “col
quale ho sempre vissuto con tanta buona armonia, ed al quale domando scusa se
l’ho talvolta trattato con troppo di durezza”, ed in caso di premorienza,
come abbiamo già notato, il patrimonio viene devoluto ai poveri. Alla
sorella Teresa Caterina, monaca (“che non è dispensata da alcun
voto” puntualizza il testatore), è lasciata la biancheria, i tegami
di cucina “che può abbisognarle per far casa da sé, quando
fosse superstite anche ad Abbondio mio fratello”, ed inoltre “E
le si ricordi di pregare pe’ suoi fratelli, e lasciare in elemosina ciò
che avvanzerà alla sua morte”.
Millecinquecento zecchini sono destinati alla Sagrestia del Duomo per celebrare
il suffragio perpetuo, quattro zecchini quale legato per ogni servitore, millequattrocento
zecchini alla prebenda.
E per tacitare quanti potessero mettere in discussione il diritto del canonico
di disporre autonomamente dei suoi beni, è utile la lettura di un brano
del Testamento letterario:
“Finalmente dichiaro, che siccome tutti i sopradetti legati derivano da
una vera mia proprietà, il cui diritto è anteriore a quello d’ogni
sovranità, ed a qualsiasi Legge civile, e che ho potuto disporne a mio
beneplacito ne’ determinati modi, e trasferire in altri il mio diritto,
ed ingiusto sarebbe l’opporsi alla mia assoluta ultima volontà,
siccome Grozio insegna, e volerla interpretare in contrario senso, usando uno
de’ miei beni a capriccio, ed in oggetti, ch’io non ho di mira,
come non l’ebbero moltissimi altri Testatori; e che ogni Legge, che attentasse
contro il mio diritto, sarebbe di nessuna forza, perché contraria all’ordine
delle Leggi fondamentali della società, come si sa da Burlemachi, e Coccejo;
e che cominciando da tutti gli imperanti fino all’ultimo possidente Testatore,
e Donatore a qualsiasi Corpo, o Persona, tutti dichiararono di cedere i loro
beni in diritto, proprietà, dominio, e podestà perpetua non revocabile
da qualunque Autorità, come leggesi in Martene, Muratori, Aghelli, ed
altri, ed intendo io di fare col mio Testamento al par di quelli; e che tutte
le mie disposizioni di Gius naturale devono pienamente sortire il loro effetto,
perché derivate dal dominio di mia proprietà, l’occupazione
della quale senza il mio assenso, o dè miei Esecutori, sarebbe anche
dopo quattro mille anni ingiusta come al primo momento” (pp. 137 –
138).
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIULIO CESARE GATTONI.
Nel nome del Signore Iddio che
si degni per il tesoro infinito di sua
Misericordia ricevere l’anima mia in
eterna pace il Giorno 4. Aprile 1794
Poco mi resta da disporre di quei beni ereditati, ed acquistati, poiche in
vita mia li ho consumati, e vincolati anche con l’assenso di mio fratello.
Ma poiche anche di quel pocco che avvanza si può eccitare alcuna gara,
e principalmente potrebbe recarmi disturbo in quegli ultimi giorni ne' quali
ogni pensiero deve essere diretto a quel Dio, che mi chiamerà ad un eterno
inappellabile giudizio; Voglio fare il presente mio testamento in iscritto,
quale voglio che debba valere per ragione di testamento noncupativo, o di codicillo,
o di donazione a causa di morte o per quella qualunque altra forma che potrà
valere.
Raccomando in primo luogo l’anima mia al Signore pregandolo per i meriti
infiniti di G. C. Redentore a volermi usare misericordia come spero:
Dichiaro primamente di non aver altro a disporre che de' mobili della casa di
Como per avere fatto vitalizio di tutti li fondi con D. Giuseppe Bellini l’anno
1778 come risulta dall’istr[oment]o rog[at]o dal Dr. Alciati di Milano.
Forse vi saranno alcuni mobili anche in Maccio, secondo che si legge in quello,
a me apartenenti.
Voglio che il mio corpo fatto cadavere si trasporti segretamente in Duomo, ed
alla mattina si faccia solito ufficio con quelle messe che si potranno celebrare
in sufragio dell’anima mia senza più poiche al resto, il Signore
Iddio mi dà grazia di pensarci addesso per allora.
Faccio il calcolo che nel mio appartamento comprese anche le statue del giardino
esisterà al presente il valore di due mille zecchini incirca, ma non
sò poi cosa se ne ricaverà nella vendita. Nulla di meno aggravo
li miei eredi a pagare lire mille cinquecento alla Sagrestia del Duomo, accioche
coll’annuo reddito sia celebrato in perpetuo dal Rev[eren]d[issi]mo Capitolo
un anniversario in suffragio dell’anima mia; a condizione però
che debbano essere assolutamente esclusi coloro, che per disgrazia de' tempi,
fossero ammessi a quel rispettabile corpo ed avessero fatto gli studi teologici
a Pavia, oppure ne sostenessero l’anticatolica dottrina, che Iddio li
preservi per sempre.
A titolo di legato lascio per una volta tanto zecchini quatro per ciascuna persona
di servizio, che si ritroverà in casa al tempo di mia morte.
Se la casa Settala di Milano vorrà avere di nuovo senza alcun prezzo
il dente di Narval, il Corno di Rinoceronte, e l’avorio fatto in tromba,
che trovansi nel gabinetto ultimo, si mandino ad essa.
A Teresa Catterina mia sorella religiosa, che non è dispensata da alcun
voto, la si dij quel pocco di biancheria, e rame di cucina, che può abbisognarle
per far casa da se, quando fosse superstite anche ad Abondio mio fratello: E
le si ricordi di pregare pe' suoi fratelli, e lasciare in elemosina ciò
che avvanzerà alla sua morte.
Lascio a SS.ri Fr[at]elli DD.ri Perti tutti gli scritti, e rogiti che si troveranno
in Casa mia, eccettine quelli che apartengono alla prebenda, ed al Collegio
Corti, che dovranno essere consegnati ad essi.
Lascio alla Sig.ra Baronessa D. Antonia Ceschi mia zia abitante in Strigno di
Valsugana nel Tirolo, e mancando essa, a suoi figlj, zecchini cinquanta una
volta tanto.
Dichiaro di dovere lire mille quatrocento alla mia prebenda come risulta da
Rogito e.c.
Al Caso che secondo le leggi naturali sopraviva il mio fratello Can.co D. Abondio
col quale ho sempre vissuto con tanta buona armonia, ed al quale domando scusa
se l’ho talvolta trattato con troppo di durezza; voglio che sij esso il
solo mio erede, e possa cambiare tutta questa mia ultima disposizione a suo
talento, e secondo che le sembrerà di convenire; Ma lo prego a fare poi
esso le disposizioni alla sua morte, come sarebbe mio desiderio, ed esprimo
nel seguente articolo.
Se mai, che il Cielo non permetta, foss’io superstite ad esso; nella rimanente
mia sostanza che lascierò al tempo di mia morte di qualunque specie sia,
istituisco miei eredi universali li poveri che vengono soccorsi dal direttorio
di questa città di Como, come più bisognosi, accioche preghino
per le anime di mia famiglia. In esecuzione poi di questa mia ultima volontà
ho deputato e deputo gli SS.ri Arcidiacono ed Arciprete della Cat[te]d[ra]le,
che saranno nel tempo, pregandoli ad assumersi un tale aggravio, e prendersi
per compagno uno degli assistenti del medesimo direttorio, accioche sia ogni
cosa venduta al miglior prezzo possibile. E ricordandosi che de' libri, de quali
ho, per il mio stato, speso assai, quelli della storia delle farfalle sono stati
pagati in ragione di lire trè per ogni carta di figure miniate. Prego
poi li detti SS.ri Arcidiacono ed Arciprete a gradire un segno della mia riconoscenza
per tale incomodo, ed accettare li sette quadri che sono nella mia stanza al
giardino, ed il croceffisso d’Avorio e dividerseli fra essi, perche così
qualche volta, che li cadano sott’occhio possano ricordarsi di pregar
pace e riposo all’anima mia che il Signor Iddio Gesù Cristo per
infinita sua misericordia eternamente mi conceda: E così sia.
P.S. Se mai li SS.ri Esecutori udissero qualche persona a dolersi di non avere
avuto alcun segno di ricognizione, che forse poteva sperare, assicurino ad essi,
e tutti quelli che contro ogni merito ebbero per me della bontà, che
in contracambio di cose, che non potevano molto significare; se sarò
in luogo di grazia come spero per la misericordia d’Iddio, e per l’infiniti
meriti di Gesù Cristo; che non mancherò di raccomandarli, ed implorarli
continuamente grazia, accioche giongano tutti all’eterna felicità,
ove saremo per sempre uniti e beati. Così sia. Canonico Giulio Cesare
Gattoni.
[In fondo al primo foglio:]
N.B.
Andiamo a fare lo stesso dal Sig.r D.r Perti io ed il Sig.r C[anoni]co Porro
ed il Sig.r D.r Perti resta pagato per tutti due li testamenti.
NOTE:
[1] GIULIO CESARE GATTONI, Testamento, Como, Noseda,
[1802]. I riferimenti a questo libro saranno dati tra parentesi nel testo.
[2] ARCHIVIO DI STATO DI COMO, Archivio notarile,
cart.1970, n.865. Il testo è trascritto integralmente al termine di questo
articolo.
[3] BIBLIOTECA COMUNALE DI COMO, ms 4.6.1: GIULIO CESARE GATTONI,
Giornale Gallo-Cisalpino, p. 624.
[4] Collegio di mansionari della cattedrale di Como.
[5] GIUSEPPE ROVELLI, Storia di Como, parte III, tomo
III, Como, Carl'Antonio Ostinelli, 1803, pp.171-172.
[6] Ovvero i giansenisti, che avevano una loro roccaforte nell'Università
di Pavia.
[7] GIUSEPPE ROVELLI, Storia de' principali avvenimenti
dopo l'ingresso de' Francesi in Lombardia, cioè dal Maggio del 1796.
a tutto il 1802. per servire di appendice alla Storia di Como, Como, Carl'Antonio
Ostinelli, 1808, p.107.
[8] Ivi, p.109.
[9] Ivi, p.108.