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MAH, n.51, marzo 2018, pp.1-4

LIBRI

Luigi Garlaschelli – Alessandra Carrer, Scienziati pazzi : quando la ricerca sconfina nella follia, Roma : Carocci, 2017
Lo “scienziato pazzo” è una figura popolare che compare in molti libri, film e fumetti. Ci sono stati (e ci sono), comunque, anche tra gli scienziati in carne e ossa personaggi eccentrici e sono stati fatti (e si fanno) anche nella realtà esperimenti bizzarri. Il libro di Luigi Garlaschelli e Alessandra Carrer ne presenta un buon numero dandone una valutazione critica.
Dare vita a un corpo inanimato con l'elettricità è l'impresa (riuscita) al dottor Victor Frankenstein nel famosissimo romanzo di Mary Shelley, ma è stato anche l'obiettivo di esperimenti (non riusciti, ovviamente) compiuti sui cadaveri da studiosi come Giovanni Aldini (pp.28-29) e Andrew Ure (pp.29-30).
Il'ja Ivanov (1870-1932) compì studi sull'inseminazione e sull'ibridazione. Il suo nome è legato anche ai tentativi, restati infruttuosi, di creare un ibrido tra un essere umano e una scimmia antropomorfa (pp.41-44).
Serge Voronoff (1866-1951) sosteneva che si potesse ottenere il ringiovanimento degli esseri umani con l'impianto di tessuti tratti da testicoli di scimmie. A Ventimiglia aveva un allevamento di scimmie da cui trarre il materiale per soddisfare le richieste che riceveva, ma, commentano gli autori, “i vantati effetti della cura erano inesistenti, e sostanzialmente dovuti a un effetto placebo”. Senza ottenere i risultati vantati, “i piccoli impianti si riassorbivano o si cicatrizzavano” (pp.52-54).
John R. Brinkley (1885-1942) sosteneva di poter curare diverse malattie e disturbi impiantando nel paziente “piccoli pezzi di ghiandole caprine”. Non solo le pretese terapeutiche erano prive di valore, ma gli interventi erano eseguiti in condizioni igieniche precarie, così che alcuni pazienti ebbero delle infezioni e si registrarono delle morti. Pur se contrastato dalla American Medical Association, Brinkley riuscì ad assicurarsi ottimi guadagni, anche se in seguito arrivò un declino e finì in bancarotta (pp.54-56).
Un altro personaggio con idee stravaganti sull'uso delle ghiandole animali fu Leo Stanley (1886-1976). Animato da idee eugenetiche, tra il 1930 e il 1950 si adoperò per la sterilizzazione di almeno 600 detenuti. Su altri prigionieri provò invece “una specie di frullato di ghiandole animali (capre, cinghiali e cervi) che veniva iniettato sottopelle nell'addome”. Tale intervento, secondo Stanley, avrebbe dato loro vigore e nel contempo ne avrebbe “anche mitigato il comportamento criminale” (pp.56-57), ma ovviamente si trattava di pratiche senza alcuna validità.
Duncan McDougall (1866-1920) pensò che, usando una bilancia per pesare il letto di un moribondo e confrontando il peso prima della morte e dopo, avrebbe scoperto il peso dell'anima e, quindi, ne avrebbe anche dimostrato l'esistenza. La sua rilevazione di un peso di 21 grammi (anche se altri suoi tentativi diedero diversi risultati) acquistò una certa popolarità, ma i suoi esperimenti sono privi di valore scientifico (pp.62-64).
Il nome di Edward Bach (1888-1936) si lega ai preparati che da lui prendono il nome di “fiori di Bach”. Le idee che stanno alla base di questi rimedi floreali e i metodi per ottenerli sono assurdità e, quel che più conta, le sperimentazioni dimostrano che non hanno nessuna efficacia (pp.144-146).
Wilhelm Reich (1897-1957) sosteneva che esistese “una specie di energia cosmica” a cui diede il nome di “orgone”. Secondo Reich, la carenza di orgone, “all'interno del corpo umano, sarebbe all'origine di diverse malattie e disturbi”. Per curarli, Reich ideò degli “accumulatori orgonici”. Si trattava di dispositivi del tutto inutili e giustamente la Food and drug administration ne vietò l'uso con pretese curative (pp.73-78).
Nel libro sono ricordati altri casi ancora e, tra i personaggi menzionati, ci sono anche scienziati che hanno al loro attivo studi di notevole valore, ma che hanno anche accolto con favore affermazioni pseudoscientifiche, come William Crookes (1832-1919), che “giurò sull'autenticità dei fenomeni provocati da due famosissimi medium dei suoi tempi, Daniel Dunglas Home e Florence Cook” (p.135), e Brian Josephson, premio Nobel per la fisica nel 1973, che ha dato credito al “misticismo quantico” e ai presunti fenomeni parapsicologici (p.138).

Michelle Hunziker, Una vita apparentemente perfetta, Milano : A. Mondadori, 2017
Protagonista di popolari trasmissioni televisive come “Zelig” e “Striscia la notizia”, Michelle Hunziker ha scritto questo libro per raccontare come era entrata, era rimasta per lungo tempo ed era uscita da quella che definisce una setta. La figura centrale è una pranoterapeuta indicata nel libro con il nome Clelia (il nome della donna e quello di altre persone sono stati cambiati nel libro, anche se sono facilmente reperibili con una ricerca in internet). Hunziker dice che Clelia era riuscita a manipolarla, legandola a sé e allontanandola dalla madre e dal marito che non vedevano di buon occhio la “maga”.
L'autrice scrive che, nonostante fosse diventata famosa nel mondo dello spettacolo, aveva grandi insicurezze e sottolinea come possa essere rassicurante, invece, l'appartenenza a un gruppo che si ritiene speciale (“entrare in una setta è l'apoteosi della rassicurazione” - p.95) e avere norme da seguire (“Quando si è convinti di sbagliare qualunque cosa si faccia, avere ordini cui obbedire e norme da rispettare è un sollievo” - p.109). Hunziker fa notare come, per chi si è legato a fondo a un gruppo, diventa difficile staccarsene anche di fronte a fatti che dovrebbero far nascere dubbi profondi: “Se avessi accettato di ragionarci su, sarebbe stato come ammettere […] di aver trascorso gli ultimi tre anni (tre anni!) nel più grande errore. […] Non potevo accettarlo” (p.178). Con una persona in quella situazione, dunque, “non basta parlare, perché non ragiona. Né serve fornire evidenze […]. In realtà, quella persona sta proteggendo se stessa” (p.120).
Hunziker aveva visto in Clelia una sorta di guida spirituale. Nel libro la presenta anche come una studiosa delle religioni. Se, però, le pagine in cui si parla di Gesù e degli esseni (pp.165-168) riflettono gli insegnamenti di Clelia, non si può certo darne una valutazione positiva. Gli esseni, secondo quanto si può leggere in tali pagine, sarebbero stati “depositari di un antico sapere spirituale, che consentiva di curare il corpo fisico influenzando quello sottile grazie al potere delle vibrazioni e della luce” (p.165). Inoltre sarebbero stati a conoscenza di “un segreto ignoto ai più, ovvero la discendenza dell'uomo da una mitica fratellanza originaria delle stelle” (pp.165-166). Gesù, incluso tra gli esseni (p.165), avrebbe imparato in un monastero “a percepire la rete dei nadi e la circolazione del prana” (pp.166-167), sarebbe stato in India e avrebbe accolto i concetti di reincarnazione, chakra e kundalini (p.168). Si tratta di una serie di affermazioni strampalate che non hanno alcun fondamento storico.
L'autrice dà nel libro un giudizio decisamente negativo su Clelia, ma continua a credere che le sue pratiche di pranoterapia siano realmente efficaci. Le rimprovera di aver usato “il suo dono […] per acquisire potere” invece che “per aiutare effettivamente gli altri” (pp.158-159), ma “che Clelia possieda davvero un dono” per lei “è fuor di dubbio” (p.81). Secondo Hunziker, un suo amico sarebbe “guarito grazie a Clelia” (p.246) e lei stessa avrebbe risolto un problema di caduta di capelli con la pranoterapia effettuata da Clelia (p.81). L'autrice, per sottolineare la sua convinzione di aver ricevuto un effetto benefico, aggiunge: “altrimenti dovrei ammettere che i capelli mi siano ricresciuti per magia” - che è però, in effetti, proprio quel che sta dicendo quando attribuisce tale presunto risultato a una pratica come la pranoterapia che è di fatto una forma di magia.
Allo stesso modo Hunziker ritiene fenomeni reali le “canalizzazioni”, ovvero le comunicazioni che gli spiriti darebbero parlando attraverso una persona (il “canale”) (pp.67, 84, 87, 89-90, 94). Pur ritenendo che in alcuni casi le presunte comunicazioni soprannaturali fossero una messa in scena orchestrata da Clelia, l'autrice sostiene che in altre occasioni erano emerse davvero informazioni che non potevano essere note ai presenti e c'erano state previsioni che si erano rivelate esatte. Gli esempi che porta, però, non sono poi così convincenti. Hunziker riferisce che il “canale” aveva usato, per riferirsi a lei, il nomignolo Lole, usato solo da suo padre (pp.89, 210). Non sembra, però, che si tratti di qualcosa di cui sia impossibile venire a conoscenza con metodi che nulla hanno di soprannaturale. E', d'altra parte, un noto trucco di pretesi veggenti e affini quello di memorizzare informazioni come queste, che possono essere date, senza farci caso (e dimenticando poi di averle date), dal cliente stesso e di proporle in seguito come se fossero rivelazioni paranormali. Per quanto riguarda le previsioni avveratesi, l'autrice ricorda che una volta il “canale” aveva annunciato che era arrivata la pizza e, assicura Hunziker, “non fece in tempo a finire la frase, che il campanello suonò” (p.94). Va detto, a onor del vero, che c'è chi riesce a indovinare il momento dell'arrivo delle pizze anche senza “canalizzare” voci soprannaturali, ma, semplicemente, sentendo il rumore del motorino dell'addetto alla consegna.
Hunziker scrive che durante una sorta di esorcismo aveva sentito uno strano odore di capra e una delle seguaci di Clelia aveva parlato con una voce che non era la sua (p.188). Anche questo, a suo dire, dimostrerebbe che qualcosa di fuori dall'ordinario succedeva realmente.
Resoconti del genere, però, non possono certo essere considerati una prova di eventi soprannaturali, ma, semmai, della propensione dell'autrice a credere in essi.
L'autrice fa riferimento a una serie di concetti che sono popolari tra i cultori delle idee new age e delle “medicine alternative”, ma che non hanno alcun riscontro nella realtà. Parla di energie negative (pp.83, 107, 124, 127, 156, 184, 185), blocchi energetici (pp.64, 103, 123, 149, 167), chakra (pp.27, 85, 131, 141, 167-168, 186), aura (p.63), corpo sottile (pp.64, 165), regressione a vite precedenti (pp.67, 149), viaggi astrali (p.67).
Anche dopo essersi distaccata dalla sua ex mentore e dal suo gruppo, insomma, Hunziker continua a credere ad affermazioni prive di ogni plausibilità. L'autrice scrive che “tutti, quando siamo fragili, potremmo cadere preda di una setta” (p.247). Questa affermazione contiene certamente qualcosa di vero, ma è vero anche che un atteggiamento razionale può essere una valida protezione contro tale rischio.

Peppe Vessicchio, con Angelo Carotenuto, La musica fa crescere i pomodori, Milano : Rizzoli, 2017
La musica di Mozart può certamente suscitare emozioni ai suoi estimatori. Può anche avere un influsso benefico sulla crescita delle piante? Tra coloro che sostengono questa idea c'è il musicista Peppe Vessicchio che, in questo libro, racconta di aver fatto esperimenti diffondendo la musica di Mozart dove erano coltivati pomodori in serra. “Nell'arco di una ventina di giorni il risultato pareva incredibile”, commenta (p.203). Le note mozartiane avrebbero anche permesso di tralasciare i trattamenti antiparassitari dato che, pur se attaccate dai parassiti, le piante crescevano bene (pp.203-204). Secondo quel che riferisce Vessicchio, ciò non accadeva invece nelle serre in cui non si metteva la musica di Mozart (p.203): con altre composizioni musicali “non succedeva niente” (p.202). Neppure un altro nome illustre della storia della musica garantiva dei risultati: “le piante, in relazione a Beethoven, non reagivano in alcun modo, […] non era la musica classica in sé a produrre effetti. Era Mozart” (p.197). Vessicchio, come si accennava, non è l'unico ad attribuire alla musica, e in particolare a quella di Mozart, questi presunti effetti. Il problema è che né lui né altri hanno saputo fornire prove convincenti delle loro affermazioni.
Vessicchio è tra coloro che vorrebbero che il la fosse accordato a 432 hertz invece che ai 440 previsti dallo standard. La differenza è esigua, ma le argomentazioni dell'autore e di altri sostenitori dei 432 hertz in realtà più che con l'acustica hanno a che fare con una sorta di mistica. Vessicchio afferma che anche Giuseppe Verdi aveva appoggiato l'idea di fissare il la a 432 hertz e cita a questo proposito una lettera del compositore datata 10 febbraio 1884 (pp.180-181). In realtà, in quella lettera (la si può leggere nel Carteggio Verdi – Ricordi 1882-1885, a cura di Franca Cella, Madina Ricordi, Marisa Di Gregorio Casati, Parma : Istituto nazionale di studi verdiani, 1994, p.417), Verdi si pronuncia a favore del la a 435 hertz adottato in Francia (nella lettera il compositore fa riferimento all'ottava successiva e quindi il numero indicato è 870, il doppio di 435). Quindi aggiunge che, se si preferiva però mettere il la a 432 hertz (nella lettera, come nel caso precedente, è indicato, facendo riferimento ad un'altra ottava, con il doppio, 864) per “esigenze matematiche” (con il la a 432 hertz, il do sarebbe stato a 256, che è una potenza di 2), andava ugualmente bene dato che “la differenza è così piccola, quasi impercettibile all'orecchio”. Quel che interessava a Verdi era che si adottasse un numero unico “in tutto il mondo musicale” e poco importava che fosse il 435 in uso in Francia oppure il 432 suggerito semplicemente da una considerazione di carattere matematico e non da presunte speciali proprietà di tale frequenza.
Vessicchio afferma che “tutta la materia è frequenza” (p.196). Tale frase potrà suonare gradevole ai cultori delle idee new age, ma è semplicemente priva di senso. La materia non può essere frequenza. Semmai si potrà dire che un corpo vibra con una certa frequenza, ma non che il corpo sia quella frequenza.
Nel libro vengono citati anche “gli esperimenti del giapponese Emoto sulla cristallizzazione dell'acqua” (p.207). Le affermazioni di Masaru Emoto, però, sono prive di ogni fondamento. I suoi esperimenti non hanno valore scientifico e non sono la “prova evidente” di alcunché.
Vessicchio menziona anche la kinesiologia applicata (pp.186-187). “C'è chi pensa che la kinesiologia applicata sia una bufala, altri che si tratti di un argomento da approfondire. Io sono nel secondo gruppo”. Poi così commenta: “il pregiudizio è sempre una chiusura verso una direzione, mentre magari proprio da lì arriva un indizio che può farci evolvere” (p.187). L'autore non tiene conto di una questione fondamentale: sono i fatti e i dati a dirci che la kinesiologia applicata è una pratica senza valore. Di fronte a ciò, il “pregiudizio” non lo ha chi la scarta, ma chi la ritiene valida ignorando i fatti in contrasto con questa sua opinione.