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MAH, n.43, marzo 2016, pp.1-4

LIBRI

Eula Biss, Vaccini, virus e altre immunità : una riflessione sul contagio, Milano : Ponte alle Grazie, 2015.
L'importanza dei vaccini è dimostrata da dati scientifici. La questione delle vaccinazioni, però, non è solamente scientifica, ma anche sociale. I movimenti antivaccinisti fanno leva su argomenti che, pur se privi di fondamento, hanno presa sui timori di molti genitori. Può dunque essere interessante e utile un libro come questo in cui l'autrice, lungo le pagine, affronta l'argomento delle vaccinazioni sotto diverse prospettive: la sua esperienza di madre, i dati scientifici (correttamente presentati), excursus filosofici e letterari (che potranno forse sembrare talora un po' prolissi a qualche lettore).
Biss sottolinea il concetto che il corpo non è solo qualcosa di personale, ma ha una dimensione sociale, dato che può contagiare, e in tal modo recare danno, ad altre persone. Non fare le vaccinazioni raccomandate non mette a rischio solo chi non la riceve, ma anche chi potrebbe essere da lui contagiato non essendo protetto dal vaccino perché per ragioni mediche non ha potuto essere vaccinto o perché su di lui il vaccino non è stato efficace, o non lo è stato a sufficienza. Infatti i vaccini raccomandati hanno efficacia molto elevata, ma non totale. Se le vaccinazioni sono fatte da un numero sufficientemente elevato di persone, si ha la cosiddetta “immunità di gregge”: il contagio incontra persone che non lo trasmettono e si ferma, riducendo così al minimo la possibilità che raggiunga chi non è protetto. Come ben ricorda Biss,“una persona vaccinata che vive in una comunità in gran parte non vaccinata ha maggiori possibilità di contrarre il morbillo rispetto a una persona non vaccinata che vive in una comunità per lo più vaccinata” (p.27)
I movimenti antivaccinisti insistono sulle reazioni avverse che i vaccini possono avere, talvolta con esagerazioni che non hanno alcun riscontro scientifico. Le reazioni avverse esistono, ma vanno sempre paragonate ai rischi legati alle mancate vaccinazioni. In questo computo, scrive giustamente l'autrice, “i benefici sono di gran lunga superiori ai danni” (p.44). Non sempre, però, le persone hanno una corretta percezione del rischio reale (pp.44-50). Biss cita una frase di Cass Sunstein: «Forse ciò che importa non è se le persone abbiano ragione a proposito dei fatti, ma se sono spaventate» (p.48).
Un esempio di percezione dei rischi errata è la paura di alcune sostanze usate nella produzione dei vaccini. La formaldeide viene usata per inattivare i virus e i vaccini possono contenerne tracce, ma, osserva l'autrice, se ne assume di più dall'ambiente: “la quantità che già circola nei nostri organismi è considerevolmente maggiore di quella che riceviamo con la vaccinazione” (p.93). Lo stesso si può dire per l'alluminio (p.93). Gli antivaccinisti hanno attaccato con grande vigore il thimerosal, un composto contenente etilmercurio usato come conservante nei vaccini. Anche se i dati non mostravano nessun problema con il suo impiego, il thimerosal è stato col tempo eliminato dai vaccini nei paesi occidentali. Come nota l'autrice, l'impiego del thimerosal consente di produrre vaccini più economici e più facili da conservare, fattori che sono importanti quando si deve portare il vaccino in paesi poveri (pp.112-114).
Le cosiddette “medicine alternative”, scrive Biss, usano anche “un linguaggio alternativo” (p.51). Un esempio è l'aggettivo “naturale” usato come se il fatto di essere “naturale” fosse di per sé una garanzia di salubrità. “L'impiego di naturale come sinonimo di buono”, commenta l'autrice, “è quasi certamente una conseguenza della profonda estraneità che abbiamo sviluppato nei confronti del mondo naturale” (pp.51-52).
Uno dei nomi più citati dagli antivaccinisti è quello di Andrew Wakefield, principale autore di un famigerato articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista medica “Lancet” nel quale si suggeriva una possibile correlazione tra vaccinazioni e autismo. In realtà, l'articolo illustrava semplicemente una serie di casi e quindi in ogni caso sarebbe stato, come dice Biss, “inconcludente”. Un'indagine appurò, poi, che Wakefield aveva barato con i dati e aveva anche compiuto esami invasivi senza necessità. Il “Lancet” ritrattò l'articolo e Wakefield fu espulso dall'ordine dei medici britannico. Nonostante tutto questo, l'ex medico continua a essere citato con approvazione negli ambienti antivaccinisti (pp.88-89).
L'autrice discute (pp.131-135) anche i piani vaccinali del “dottor Bob”, ovvero Robert Sears, autore di The vaccine book. Biss, sulla base dei dati scientifici, stronca il “piano selettivo” (senza i vaccini per epatite B e poliomielite e quello trivalente per morbillo, parotite e rosolia), ma anche il “piano alternativo”, che comprende tutti i vaccini, ma distribuiti su otto anni invece che nei primi due. “Dal momento che il piano posticipa alcune vaccinazioni che sono mirate a proteggere specificamente i bambini molto piccoli,” commenta Biss, “è improbabile che offra il meglio nel campo della prevenzione della malattia. Ed è improbabile che offra il meglio nel campo della vaccinazione sicura dato che non esiste prova attendibile, a parte le personali congetture del dottor Bob, che distanziare e ritardare le somministrazioni di vaccini minimizzi l'incidenza dei loro effetti collaterali” (p.132). L'autrice nota come Sears voglia darsi un'aria di imparzialità, ma in realtà minimizza i pericoli derivanti dalle mancate vaccinazioni ed esagera marcatamente i pericoli delle vaccinazioni precoci: “più che imparziale, è ambiguo” (pp.132-133).
Gli antivaccinisti alludono talora a interessi economici nella vendita dei vaccini. Ma l'antivaccinismo non ha davvero nulla da vendere? Biss, ricordando uno spot pubblicitario del National Vaccine Information Center (un'organizzazione antivaccinista) mostrato nella Times Square di New York, scrive: “La paura […] fa vendere un bel po' di prodotti, e la possibilità che qualcuno ricavi un tornaconto personale dalla diffusa paura della vaccinazione è testimoniata dallo stesso spot di Times Square, che in ogni inquadratura include l'indirizzo web del co-sponsor, il medico Joseph Mercola”. Questi è a capo del Mercola Natural Health Center, che vende prodotti come lampade abbronzanti, depuratori di aria, vitamine, integratori, con un fatturato – riferisce l'autrice – che nel 2010 era di sette milioni di dollari (pp.215-216).

Walter Bianchi, Medicine senza rischi, Milano : Vallardi, 2015.
Sull'importanza dei medicinali l'autore non ha dubbi: “i medicinali sono una delle conquiste più preziose del progresso” (p.15). Vanno, però, usati in modo corretto, così che siano efficaci e non procurino danni o, almeno, rischi ed effetti collaterali siano inferiori al beneficio ricevuto.
Un esempio di cattivo impiego dei farmaci è l'abuso di antibiotici (pp.39-41). Ciò “mette a rischio sia la salute individuale di chi li assume (a causa delle possibili reazioni avverse) sia la salute di tutti (con lo sviluppo di resistenze da parte dei germi […], con il conseguente rischio di non poter più disporre in futuro di strumenti fondamentali per la cura delle infezioni)”. Bianchi ricorda giustamente “l'importanza […] di non sospendere mai la terapia prima di quanto prescritto dal medico e di non assumere mai antibiotici per curare infezioni virali, come ad esempio il raffreddore e l'influenza” (gli antibiotici curano le infezioni batteriche, ma sono inutili contro i virus).
Non sempre i medicinali sono necessari. Bianchi mette in guardia contro l'eccessiva medicalizzazione, ovvero l'eccesso di ricorso a indagini diagnostiche e terapie, e contro il disease mongering, che “trasforma le persone sane in pazienti” e crea un mercato più ampio per i farmaci, giovando alla case farmaceutiche, ma non ai pazienti (pp.30-35). L'autore, peraltro, non manca di aggiungere che esiste pure il problema opposto, quando ai pazienti “non vengono prescritti i farmaci di cui avrebbero bisogno” (p.35).
Non è detto che un farmaco che si è dimostrato sicuro ed efficace per persone adulte lo sia altrettanto nei confronti dei bambini. Bianchi nota dunque che bisogna avere cautela nella prescrizione off label per i bambini di medicinali che non hanno una specifica approvazione per uso pediatrico (pp.108-110).
L'autore invita a leggere il foglietto illustrativo dei medicinali che si prendono, facendo attenzione alle indicazioni, alle precauzioni, alle modalità di assunzione e di conservazione (pp.132-144), e raccomanda di rispettare le dosi segnalate (pp.119-120). Bianchi nota anche che bisogna prestare attenzione alle possibili interazioni con con altri farmaci (pp.168-172) o con prodotti a base di erbe o cibi e bevande (pp.173-185).
Per quanto riguarda i prodotti omeopatici (pp.197-199), l'autore osserva che “le evidenze che l'omeopatia sia una terapia efficace sono scarse, e non è disponibile alcuna evidenza di buona qualità che l'omeopatia sia efficace” (p.198). In breve, l'omeopatia non serve a nulla. Ha, invece, “rischi indiretti, che sono correlati all'uso di un medicinale omeopatico inefficace in sostituzione di un trattamento convenzionale efficace” (p.198).
Bianchi ha una maggiore apertura verso l'agopuntura che nel libro viene proposta come una possibile alternativa agli antidolorifici (p.42) e per la quale indica “evidenze cliniche positive nel trattamento della nausea in gravidanza, del vomito che si manifesta negli adulti dopo gli interventi chirurgici e dopo la chemioterapia e del mal di denti” (p.122). La nostra opinione è che i dati a favore dell'agopuntura non possano essere considerati significativi neppure per tali indicazioni. Lo stesso Bianchi, comunque, si esprime in modo cauto e non manca di ricordare che l'agopuntura può comunque avere, “anche se raramente, gravi effetti collaterali (ad esempio infezioni e pneumotorace, ossia collasso del polmone)” (p.122).
Curiosa (e, a nostro parere, poco convincente) è la scelta editoriale di includere nel libro le note: per vedere a cosa rimandano i numeri di nota nel libro si deve scaricare un file in formato pdf dal sito dell'editore (un avviso a p.213 dice che non si è “ritenuto opportuno inserire nel volume in quanto costituita, nella sua quasi totalità, da testi e articoli altamente specialistici in lingua inglese”).

Didier van Cauwelaert, Il dizionario delle cose impossibili, Firenze : Clichy, 2015.
Dal pappagallo telepatico (pp.30-32) alla combustione umana spontanea (pp.80-88), dalle near death experiences (pp.117-127) alla metafonia (pp.351-360), per fare solo qualche esempio (ne citeremo altri in seguito), l'autore ha raccolto un po' di tutto nei brevi capitoli (anche solo di un paio di pagine) che compongono questo libro. Quello che manca, e che sarebbe invece decisamente utile in un testo che si occupa di paranormale, pseudoscienze, miracoli e anomalie, è un approccio critico a ciò che viene riferito.
E' interessante, a questo proposito, vedere la sua conclusione sulla vicenda del Progetto Alpha (pp.71-74). L'uomo d'affari James McDonnell (nel libro è chiamato McDonnell-Douglas, ma questo è il nome dell'azienda che unisce al suo cognome quello del fondatore di un'azienda con la quale quella di McDonnell si era fusa), convinto sostenitore dell'esistenza di facoltà paranormali, finanziò un programma di esperimenti chiamato Progetto Alpha. L'illusionista canadese James Randi, noto per il suo impegno nello smascherare presunti fenomeni paranormali, si offrì di prestare la sua consulenza su come agire per non farsi ingannare da persone che usassero dei trucchi per simulare facoltà paranormali, ma la sua proposta non fu accolta. Nelle prove effettuate per il Progetto Alpha si distinsero due ragazzi, Steve Shaw e Michael Edwards. I responsabili del programma, in seguito agli esperimenti fatti, dichiararono che i due erano riusciti a piegare cucchiaini e altri oggetti di metallo in modo paranormale e a leggere fogli inseriti in buste chiuse. Arrivò però un colpo di scena: Shaw e Edwards erano due giovani prestigiatori mandati da Randi e quelli che erano stati certificati come prodigi paranormali erano in realtà trucchi da illusionisti. Persino in un caso come questo, in cui gli stessi protagonisti del presunto fenomeno hanno svelato che si trattava di un trucco, l'autore non rinuncia comunque all'ipotesi paranormale: “i simulatori che si sforzano con convinzione di passare per dei veri soggetti psi non potrebbero risvegliare in loro, inconsciamente, un potenziale dormiente?” (p.74)
La propensione dell'autore a sorvolare sui dati oggettivi per abbracciare ipotesi fantasiose si nota anche in quanto scrive sulla Sindone (pp.291-303, 315-321). Van Cauwelaert scrive che la datazione medievale “non regge neanche per un attimo” (p.294) ed è “caduta nel ridicolo” (p.303). In realtà, è vero il contrario: la documentazione storica e l'esame con il radiocarbonio indicano chiaramente un'origine medievale per il telo conservato a Torino. Van Cauwelaert, però, accantona queste solide prove e preferisce rifarsi a congetture fantascientifiche su “nuclei di deuterio contenuti nel corpo” che “si sarebbero disintegrati liberando protoni che avrebbero poi impressionato il tessuto” e su “un irraggiamento di elettroni emessi dal corpo”, così che la Sindone sarebbe “la prova della smaterializzazione di un corpo” (pp.302-303). Decisamente curiose sono anche le spiegazioni che l'autore propone per il fatto che la Chiesa non si schieri a favore dell'autenticità della Sindone: a suo dire, “accreditare la tesi di un falso medievale permetteva […] di evitare che il governo turco reclamasse la restituzione della Sindone che, se autentica, proverrebbe con tutta probabilità dal tesoro rubato a Costantinopoli dai crociati francesi nel 1204” (un'affermazione che, però, non ha alcun fondamento storico) e la porrebbe “al riparo dai genetisti illuminati” che vorrebbero tentare di clonare Gesù a partire dal sangue che sarebbe presente sulla Sindone (p.294).
Anche parlando del prodigio eucaristico di Lanciano (pp.322-325), l'autore si mostra insoddisfatto per la “insigne prudenza” della Chiesa. Scrive che per la reliquia conservata tuttora nella chiesa di San Francesco in tale località c'è “un'indifferenza abbastanza straordinaria” e che il Vaticano “sembra voler contare sul tempo per diluire gli effetti più rumorosi dei prodigi eccessivi” (p.324).
Van Cauwelaert cita come autorità scientifiche personaggi come Deepak Chopra (p.24) e Masaru Emoto (pp.25-28) che godono di una certa popolarità in ambienti “alternativi”, ma non hanno alcun credito nel mondo scientifico. L'autore scomoda anche la fisica quantistica, ma affermazioni come “la fisica quantistica ci dimostra che è la nostra coscienza a creare la realtà” (p.12 - cfr pp.42, 236, 314, 327, 373), che spesso accompagnano idee new age e pseudoscientifiche, sono in realtà un travisamento di quel che la fisica quantistica realmente dice.