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MAH, n.33, settembre 2013, pp.1-4
LIBRI
Ben Goldacre, Effetti
collaterali : come le case farmaceutiche ingannano medici e pazienti, Milano
: A. Mondadori, 2013.
La produzione di medicine efficaci è una delle grandi conquiste della
scienza. Il mondo dei farmaci però ha anche le sue ombre e Ben Goldacre
le segnala senza far sconti in questo documentato volume.
Il libro comincia affrontando il problema della mancata pubblicazione dei dati
quando il trial clinico non dà un risultato positivo. E’ chiaro
che se i risultati negativi non vengono pubblicati, quando si farà una
valutazione in base agli studi disponibili il bilancio verrà falsato.
Inoltre in questo modo potrebbero non essere resi noti effetti collaterali che,
invece, sarebbe molto importante conoscere. Goldacre cita il caso degli antiaritmici
prescritti a chi aveva avuto un attacco cardiaco prima che si venisse a sapere
che un trial i cui risultati non erano stati pubblicati aveva mostrato un numero
maggiore di decessi che nel campione di controllo (pp.22-23), quello della paroxetina
che veniva prescritta ai bambini “off label” senza poter sapere
che un trial non pubblicato aveva dimostrato che su quella fascia di età
era inefficace e anzi pericolosa (pp.69-73) e altri. L’autore suggerisce
dunque che ci dovrebbe essere un obbligo di pubblicazione dei risultati entro
un anno dalla conclusione del trial, i comitati etici dovrebbero non consentire
di partecipare ad altri trial a chi non ha ottemperato alla norma e dovrebbero
essere vietate le “clausole bavaglio” con la quale il ricercatore
si impegna a non divulgare nulla se la ditta che finanzia il trial non è
d’accordo (pp.50-58). Dovrebbe scomparire ogni segretezza sui dati dei
trial clinici perché altri occhi possono cogliere qualcosa che è
sfuggito (pp.74; cfr p.102, 204 – Goldacre porta a questo proposito il
buon esempio della Cochrane Collaboration che dà ai lettori del suo sito
“un modo semplice per sollevare critiche. E, fatto cruciale, queste critiche
non trovano orecchie sorde” – p.94). Sarebbe utile che venissero
condivisi i dati grezzi (pp.106-108).
Il secondo capitolo descrive l’iter che un farmaco deve percorrere per
essere messo sul mercato. Goldacre sottolinea che è importante tutelare
le persone che partecipano ai test e da questo punto di vista ritiene che debba
destare preoccupazioni l’esternalizzazione dei trial a “organizzazioni
per la ricerca clinica” che, per diminuire i costi, operano in paesi dove
tale tutela è minore (pp.124-132).
Nel successivo capitolo, l’autore si occupa delle autorità regolatrici
e del perché non hanno l’efficacia che dovrebbero avere.
L’idea dei trial clinici randomizzati in doppio cieco è una base
della medicina fondata su prove. Ci sono, però, diversi trucchi per addomesticare
i risultati di un trial (quarto capitolo). Per esempio, ignorare i soggetti
che decidono di ritirarsi prima della conclusione può essere fuorviante
perché il ritiro può essere causato proprio dagli effetti collaterali
che si vorrebbero evitare.
Goldacre propone (quinto capitolo) di “allestire trials randomizzati inseriti
nella pratica di routine, negli ordinari ambulatori dei medici generici […]
ogniqualvolta ci sia una genuina incertezza” sul trattamento migliore
(p.237). Per esempio, tra le due statine più utilizzate, scrive l’autore,
non si può dire al momento quale sia la migliore e quindi la scelta del
medico è, di fatto, casuale. Dunque si potrebbe ricorrere ad un programma
che assegni in modo randomizzato l’una o l’altra permettendo poi
di fare un confronto sui risultati e di vedere quale è la più
efficace (p.239).
Il sesto capitolo è dedicato al marketing. Le case farmaceutiche investono
più in marketing che in ricerca e sviluppo. Goldacre nota che queste
spese pesano sul costo dei medicinali, ma, soprattutto, che lo scopo del marketing
è far vendere un prodotto e questo pone problemi in campo medico dato
che in medicina si dovrebbe unicamente pensare a dare la migliore terapia.
Mariano Tomatis,
Te lo leggo nella mente, Milano : Sperling & Kupfer, 2013.
Con il termine “mentalismo” sono indicati quei numeri
di illusionismo in cui si finge di leggere nella mente delle persone. Si tratta
di giochi di prestigio (l’autore propone anche un interessante parte storica),
ma talora gli stessi mentalisti assumono un atteggiamento un po’ ambiguo,
lasciando intendere che comunque possiedono un intuito speciale o che esistano
raffinate tecniche psicologiche o di lettura delle espressioni e del corpo che
permettono di leggere inequivocabilmente cosa pensa chi si ha davanti. Tomatis
mette in chiaro che questa aura del mentalismo è solo un espediente per
lo spettacolo. L’autore sottolinea che il mentalismo “non richiede
l’apprendimento dei segreti del linguaggio del corpo o lo sviluppo di
un intuito sopra la norma” e che la dote fondamentale del mentalismo è
“l’abilità a raccontare storie”. La lettura dei segnali
del corpo può essere una di queste storie: il mentalista, per esempio,
sa già, grazie a un trucco da prestigiatore, quale carta è stata
scelta, ma finge di riuscire a ricavare l’informazione da impercettibili
reazioni della persona che ha davanti.
I telefilm possono essere fuorvianti: “fuori delle serie televisive, nessuna
forza di polizia con un po’ di sale in zucca coinvolgerebbe un mentalista
nelle proprie indagini, né un individuo depresso gli affiderebbe il proprio
mondo emotivo per riceverne un sostegno psicologico: il mentalismo non offre
alcun contributo utile alla criminologia e alla psicoterapia” (p.11).
Tomatis mostra come con il mentalismo si possa esprimere creatività,
ma dà giustamente un giudizio severo su chi millanta poteri inesistenti,
tanto più se li propone in contesti delicati: “Indovinare i pensieri
del pubblico con un trucco non vi autorizza a proporvi come psicologi. […]
Ritrovare una chiave nascosta con un pendolo non giustifica una vostra collaborazione
con la polizia per individuare persone scomparse. Esibirvi di fronte a chi è
disposto a credervi non vi legittima a prendervene gioco” (p.185).
Michel Raymond, Il
topo che amava i gatti e altre stranezze dell’evoluzione, Torino
: Bollati Boringhieri, 2013.
Il libro presenta una serie di esempi dell’azione della
selezione naturale, motore dell’evoluzione. Tra i numerosi casi illustrati,
c’è quello dell’adattamento degli uomini al cibo cotto. La
cottura degli alimenti, scrive l’autore, è testimoniata da almeno
250.000 anni e ha portato un notevole vantaggio alla nostra specie: “si
eliminano parassiti o tossine ma, soprattutto, l’alimento diventa più
digeribile e procura energia in tempo più breve”. La cottura del
cibo è un esempio di come la trasmissione culturale di un’abitudine
ha avuto una coevoluzione biologica: l’apparato digerente, dice Raymond,
“misura solo il 60% della dimensione attesa”. L’autore dà
quindi un giudizio negativo sulla cosiddetta “paleodieta” che ha
conquistato una certa popolarità e che propone un regime alimentare che,
secondo chi la pubblicizza, sarebbe quello dei nostri antenati e che include
il mangiare alimenti crudi. Una dieta basata su cibi crudi, avverte Raymond,
“genera numerosi deficit nutritivi”. Il suo giudizio su diete come
queste è netto: “Esaltato da alcuni, questo tipo di regime alimentare
è basato su una ideologia denudata di qualsivoglia supporto scientifico:
per quel che hanno potuto constatare gli antropologi, tale regime non è
mai stato documentato in una società tradizionale […]. Attualmente,
un tale regime alimentare rappresenta un cattivo adattamento […]:
è impossibile sopprimere bruscamente un tratto culturale, come la cottura
degli alimenti, senza provocare un grave squilibrio biologico” (pp.20-21).
Adam Kadmon, Illuminati,
Milano : Piemme, 2013.
Adam Kadmon è il nome d’arte (anche se parlare
di “arte” pare un po’ eccessivo) di un personaggio diventato
famoso per la partecipazione alla trasmissione televisiva “Mistero”,
nella quale si presenta con una maschera che copre per metà il volto
mentre una scritta in sovraimpressione sostiene che deve celare la sua identità
per tutelarsi da rappresaglie che potrebbe subire a causa delle informazioni
che rivela. Non si capisce, però, chi dovrebbe preoccuparsi se un personaggio
da fumetto va in televisione a dire una serie di sciocchezze che non sono certo
segrete e originali: al contrario si possono trovare in abbondanza girando in
internet.
Secondo Adam esisterebbe un potentissimo gruppo di potere che, dietro le quinte,
muoverebbe le sorti del mondo, gli “Illuminati” che danno il titolo
al libro. Come prova della loro esistenza l’autore ricorda che l’ex
ministro Giulio Tremonti parlò in televisione delle pazzie commesse dagli
“illuminati” (p.8). A chiunque abbia anche solo un briciolo di buon
senso appare evidente, però, che Tremonti usava tale parola per fare
del sarcasmo su persone che, a suo modo di vedere, non avevano idee molto furbe
e non certo per indicare un presunto gruppo occulto di potere.
L’autore cita anche la società segreta, realmente esistita, degli
Illuminati fondata da Adam Weishaupt, ma è chiaro che questo gruppo fu
facilmente soppresso e non aveva evidentemente neppure alla lontana gli immensi
poteri attribuiti ai fantomatici Illuminati delle teorie del complotto che,
secondo il personaggio mascherato, esisterebbero da tempi immemorabili e sarebbero
conosciuti anche come Illuminati di Moriah.
Nel libro vengono presentate persino ridicole storie da film dell’orrore
come quella dell’entità che si nutrirebbe di “una particolare
forma di energia prodotta dalle emozioni legate alla sofferenza, al terrore,
alla disperazione che provano gli esseri umani quando capiscono che stanno per
essere uccisi. A questo scopo, gli Illuminati e i loro agenti rapirebbero donne
e bambini per sacrificarli dopo atroci torture” (p.29). Nulla di originale:
se volete leggere assurdità come queste, le potete trovare per esempio,
con tutta una serie di grotteschi particolari, nei libri di David Icke.
Adam Kadmon butta nel calderone anche gli “oopart” (pp.59-60), ovvero
quegli oggetti che secondo i cultori del mistero sarebbero inspiegabili nel
contesto temporale a cui vengono attribuiti. L’autore scrive che “pochi
sanno” di questi oggetti, ma in realtà gli esempi che porta sono,
al contrario, sempre i soliti, triti e ritriti, ben noti e già spiegati.
Nella miscellanea di complotti presentati nel libro trova spazio anche la farsa
delle “scie chimiche” (pp.116, 122-125) e sono interpretati in chiave
complottista persino i film di animazione per ragazzi The fast and the furry,
con protagonisti Tom e Jerry (pp.310-317), e Toy story 3 (pp.299-309).
Nel primo, il gatto Tom e il topo Jerry distruggono la casa dove abitano e decidono
di partecipare a una corsa automobilistica che mette in premio una villa. Un
magnate di Hollywood viene associato a simboli come la piramide con l’occhio
e la sagoma del diavolo e compare in vesti egiziane: una scherzosa parodia,
che nel libro invece è presentata come messaggi legati agli Illuminati
che intendono far presa già sulle giovani menti. In una scena il cane
Spike mena un colpo di scure verso Tom. Si vede poi il gatto senza testa, ma
subito dopo si scopre che il micio ha evitato il colpo e ha semplicemente “nascosto”
la testa tra le spalle. E’ una semplice trovata comica, ma Adam scrive
di significati nascosti: “la decapitazione di una gallina allo scopo di
aprire un portale e far penetrare un demone nel corpo di un bambino” (p.313).
Uno dei conduttori sposta una levetta incurante dell’avviso “non
toccare” in un’automobile la cui propulsione è basata sull’antimateria
e in un botto spariscono l’auto e il suo inventore: anche stavolta ciò
che è solo una battuta viene interpretato con grandi voli di fantasia
come un’allusione alle morti “misteriose” di alcune persone
che avrebbero scoperto e realizzato modelli di “free energy” (di
queste presunte scoperte si era parlato nel libro alle pp.176-189).
Anche Toy Story 3 è stato oggetto di interpretazioni astruse:
ci sarebbe “un chiaro riferimento” ai progetti MK Ultra e Monarch,
tanto cari ai complottisti, nel “controllo mentale” subito dall’astronauta
giocattolo Buzz Lightyear, l’arrivo di giocattoli con fattezze da alieni
a salvare i buoni sarebbe una metafora per dire che ci sarà un arrivo
di extraterrestri per salvare l’umanità e il dono dei giocattoli
di Andy, maschio, diventato grande, a una bambina rappresenterebbe un passaggio
da una divinità maschile a una femminile, dall’età dei Pesci
a quella dell’Acquario.
In breve, il libro è una raccolta di assurdità che chiunque può
pescare in internet, esposte con tono ieratico, ma senza il minimo spirito critico.
Nulla di nuovo e, soprattutto, nulla di sensato.
Fabio Caironi, Maria
Callas, 2013 (ebook).
All’inizio degli anni ’50, Maria Callas aveva raggiunto
una grande popolarità. Non poteva quindi passare inosservata la sua drastica
perdita di peso. Nel 1952 pesava 92 chili e nel 1954 era scesa a 64. Negli anni
successivi arrivò fino a 54. Circolarono voci su come la cantante avesse
ottenuto questo dimagrimento. Si parlò di misteriose iniezioni e di interventi
chirurgici in cliniche scandinave o svizzere, ma la storia che ebbe maggior
successo fu quella secondo la quale la soprano avrebbe appositamente ingerito
una tenia (il parassita noto come “verme solitario”). Una versione
chic racconta che avrebbe inghiottito uova di tenia accompagnandole con un bicchiere
di champagne. La stessa Callas contribuì in qualche modo a confondere
le acque raccontando che, al contrario, era stato un verme solitario “anomalo”
a farla ingrassare tanto e che la perdita dei chili era partita dall’espulsione
del parassita.
Fabio Caironi, esperto di leggende metropolitane e in particolare di quelle
riguardanti il mondo della musica (sulla nostra rivista abbiamo recensito il
suo Storie stonate – n.20,
giugno 2010 – e pubblicato un suo articolo sulla leggenda della morte
di Paul McCartney – n.25,
settembre 2011), ha ricostruito la storia della cantante e del verme solitario
in questo libretto distribuito come ebook. Esaminando le informazioni disponibili,
Caironi giunge alla conclusione che il calo di peso sia stato il frutto di una
dieta rigida. L’autore non ritiene plausibile l’idea di una tenia
“anomala” che avrebbe fatto ingrassare la soprano, ma non esclude
che, all’inizio del periodo che la portò a perdere tanti chili,
l’artista abbia potuto espellere realmente una tenia, facendo notare che
la dieta da lei adottata comprendeva la carne cruda e che la mancanza della
cottura poteva favorire l’infestazione. Non si sarebbe quindi trattato,
in tale caso, di un parassita presente dai tempi in cui la soprano era ingrassata,
ma di uno giunto in seguito e che nulla dunque aveva a che fare con l’aumento
di peso.