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MAH, n.25, settembre 2011, p.4

LIBRI

Tomaso Montanari, A cosa serve Michelangelo?, Torino : Einaudi, 2011.
Il libro prende l’avvio dalla vicenda del crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo acquistato dallo Stato italiano alla fine del 2008. L’autore ritiene che il comitato tecnico-scientifico per i beni storico-artistici del ministero per i beni culturali, tra i cui “quattro membri non figurava né un michelangiolista né uno specialista di scultura rinascimentale”, avrebbe dovuto avviare “una nutrita serie di formali consultazioni di esperti italiani e stranieri, riconosciuti e indipendenti” prima di accettare tale attribuzione proposta in un catalogo di una mostra legata al possessore dell’oggetto e quindi parte in causa (p.35).
Per quanto la paternità del crocifisso fosse tutt’altro che certa (per Montanari, così come per altri specialisti, è anzi del tutto infondata), l’acquisizione era stata trasformata in un evento mediatico, in base al principio che le risorse disponibili non devono essere disperse in molteplici direzioni, ma concentrate su eventi, opere e musei di eccellenza – un’idea, questa, che l’autore contesta alla radice. E’ inutile, afferma Montanari, investire risorse per promuovere “opere che non hanno alcun bisogno di promozione” (p.52) e lo è tanto più “in un Paese la cui unicità consiste nella densità di un patrimonio diffuso” (p.53). E’ non solo inutile, ma anche dannoso, prosegue l’autore, “far perire i fragili Uffizi sotto una massa incontenibile di visitatori, e non poter cambiare nemmeno una lampadina nella Galleria Nazionale di Parma” (p.54).
L’autore punta il dito contro quella che il gergo della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale del Ministero per i beni e le attività culturali chiama “circuitazione di opere-icona” (p.74): portare in giro in mostre-spettacolo un’opera, anche se di attribuzione certa come nel caso del David di Donatello alla fiera di Milano (pp.57-58) o della Velata di Raffaello in viaggio negli Stati Uniti (p.74), secondo Montanari non promuove “educazione e cultura”, ma è semplicemente “una vera e propria operazione di marketing” (p.74). Il capolavoro, slegato dal suo contesto storico, diventa un “un oggetto taumaturgico” (p.78) e la storia dell’arte si trasforma “da sapere critico in industria dell’intrattenimento pseudocolto” (p.83).
Un capitolo del libro è dedicato a come i giornali si occupano dell’arte. L’autore deplora il fatto che se ne parli più che altro in occasione di quotazioni da record alle aste, di furti, di mostre (con articoli che sembrano più pubblicità all’evento che discussioni critiche) o di “scoperte sensazionali” che sono poi “quasi sempre inenarrabili sciocchezze”, come l’attribuzione della Sindone a Leonardo da Vinci o la presunta scoperta delle ossa del Caravaggio (pp.97-98; delle ossa attribuite a Caravaggio e presentate come una reliquia da Cesare Previti, l’autore torna a parlare più avanti, pp.111-112).