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MAH, n.21, settembre 2010, pp.1-3

Animali
LO SPAZZOLINO DEL COCCODRILLO
di Giorgio Castiglioni

Erodoto racconta una storia curiosa che ha per protagonisti il coccodrillo del Nilo e un uccello chiamato trochilo: “quando il coccodrillo esce dall’acqua a terra e poi sta a bocca spalancata […] allora il trochilo penetrandogli nella bocca, ingoia le sanguisughe. Quello allora si compiace di essere aiutato e non fa male al trochilo” (Storie, II, 68).
Aristotele scrive che il trochilo pulisce i denti al coccodrillo il quale gradisce il servizio e, per evitare di far male al volatile, scuote la testa per avvertirlo prima di chiudere la bocca (Storia degli animali, IX, 6). Plinio dice che il trochilo ripulisce la bocca e i denti del coccodrillo da frammenti della carne dei pesci di cui si è cibato (Storia naturale, VIII, 37).
La storia ha attraversato i secoli arrivando fino ai nostri giorni. Come uccello spazzolino viene in genere indicato il Pluvianus aegyptius (in passato chiamato Charadrius aegyptius), ma il ruolo è stato attribuito anche al Vanellus spinosus (conosciuto anche come Hoplopterus spinosus o, in testi più vecchi, Charadrius spinosus), una pavoncella che deve il suo nome di specie, spinosus, alla presenza di una sorta di “spina” su entrambe le ali.
Nella versione riferita dal viaggiatore francese Paul Lucas, quando capitava che il coccodrillo chiudesse la bocca imprigionando all’interno l’uccellino che stava mangiando i resti di cibo impigliati tra i denti, il volatile gliela faceva aprire pungendogli il palato con una punta che aveva sulle ali. Sembra quindi che il protagonista della storia sia qui la pavoncella spinosa.
Jonathan Mayhew Wainwright raccolse un racconto analogo a proposito dell’uccello chiamato seeksak dalla gente del luogo, secondo la quale entrava nella bocca del coccodrillo per mangiare le sanguisughe e, se il rettile per errore chiudeva le fauci, lo avvertiva che doveva riaprirle colpendo il palato con gli speroni delle ali. Wainwright, che aveva abbattuto col fucile un seeksak, oltre a menzionare questi speroni, descriveva in modo preciso il piumaggio che corrisponde perfettamente a quello del Vanellus spinosus. William Robert Wilde, che citò il sicsac (il modo in cui veniva trascritto il nome poteva variare) e il suo presunto uso degli speroni delle ali, scrisse che si trattava del Charadrius spinosus (nome un tempo dato, come detto sopra, al Vanellus spinosus).
La storia dell’uccellino che costringe il coccodrillo a riaprire la bocca pungendo il palato era già stata raccontata, nel XVI secolo, da Leone Africano. Questi scrisse che aveva visto con meraviglia “certi uccelletti bianchi della grandezza d’un tordo” volare nelle bocche dei coccodrilli e che, avendo chiesto informazioni in merito, gli era stato risposto che quando quei rettili mangiavano rimaneva sempre “qualche reliquia di carne attaccata, la quale putrefatta, crea alcuni piccoli vermi, che fan loro noia”. I volatili entravano nella bocca dei coccodrilli per cibarsi di questi vermi, ma l’ingrato rettile, ricevuto il servizio di pulizia, cercava pure di mangiarsi il suo benefattore, il quale riusciva però a liberarsi colpendo il palato del rettile con “una acuta & dura spina” che, in questa versione della storia, non era però sulle ali, ma “sopra il capo”.
Wainwright e Wilde riferivano che si raccontava che l’uccellino rendeva anche un altro servizio al coccodrillo avvertendolo con un grido quando si avvicinavano uomini. Il volatile prendeva il nome proprio dal grido che lanciava. Secondo quanto aveva saputo Robert Curzon, oltre a gridare “ziczac! ziczac!”, l’uccellino si lanciava due o tre volte contro il muso del coccodrillo. Curzon precisava comunque che non aveva mai trovato nessuno che dicesse di averlo visto con i suoi occhi.
Wainwright, dopo aver riferito quel che si diceva sul seeksak, aggiungeva: “Quanto ci sia di vero, io ovviamente non posso dirlo”. Wilde non reputava credibile la simbiosi tra il coccodrillo e il sicsac. Scriveva che questi volatili, girando vicino ai coccodrilli a caccia di insetti e lanciando il loro verso quando vedevano uomini (anche se questo non significava necessariamente che lo facessero per avvertire i coccodrilli), rendevano in effetti difficile ai cacciatori avvicinarsi ai rettili senza essere notati e ipotizzava che forse proprio questa “apparente simpatia” poteva aver dato vita ai racconti di Erodoto e Plinio. Era, questo, il parere anche dell’egittologo John Gardner Wilkinson.
La storia del volatile che si introduceva nella bocca del coccodrillo aveva invece trovato un appoggio nel naturalista Etienne Geoffroy de Saint-Hilaire che, in una comunicazione del 28 gennaio 1828 all’Accademia delle Scienze di Parigi, affermò che il racconto di Erodoto era in sostanza attendibile, anche se c’era un equivoco: gli animali che succhiavano il sangue nella bocca del coccodrillo e che venivano divorati dall’uccello non erano sanguisughe, ma insetti ematofagi.
Nel 1893 la prestigiosa rivista di ornitologia “The Ibis” pubblicò una lettera in cui l’autore, John M. Cook, diceva di avere visto di persona che il coccodrillo apriva la bocca, l’uccellino entrava, il rettile chiudeva la bocca e dopo un po’ la riapriva, il volatile ne usciva e andava sulla riva a bere o vomitare. L’uccello, abbattuto, era stato identificato come Hoplopterus spinosus (sinonimo di Vanellus spinosus). La rivista reputava importante questa lettera perché finalmente c’era un testimone oculare. Andrew Wilson, nella sua rubrica di divulgazione scientifica per la rivista “Illustrated London News”, scrisse che la “storia era stata screditata come un’antica favola”, ma, dopo il resoconto di Cook, “sembrerebbe che non ci sia nessun dubbio sulla veridicità”.
Una testimonianza oculare è contenuta anche nella celebre Tierleben (Vita degli animali) di Alfred Brehm. Si riferisce, però, al Pluvianus aegyptius e l’autore, che dice di averlo visto più volte beccare sul corpo e fin sulle gengive del coccodrillo per mangiare sanguisughe, scriveva che non c’era una simbiosi tra i due animali: semplicemente il volatile riusciva con destrezza a procurarsi il cibo dal corpo del rettile sfuggendo ai suoi “maligni desideri”.
La storia dell’uccello che si occupa dell’igiene orale del coccodrillo viene ancora citata spesso come esempio di simbiosi tra animali. Si può però pensare che ciò non significhi necessariamente che gli autori intendano prendere posizione a favore della sua autenticità. Più semplicemente, può essere che non si siano posti il problema, limitandosi a ripetere un’informazione di cui erano venuti a conoscenza.
Il parere di uno specialista come Adam Britton, un’autorità in materia di coccodrilli, è netto: “Non credo a una sola parola”. Ci sono ottime ragioni per condividere la sua opinione.
Per quanto riguarda la versione in cui l’uccello spazzolino rimuove gli avanzi di cibo incastrati tra i denti, va notato che i denti del coccodrillo non sono adiacenti tra loro (come, per esempio, quelli umani), ma c’è un intervallo tra un dente e quello successivo e quindi non si capisce come residui di cibo possano rimanere intrappolati. Non si capisce neppure perché mai il coccodrillo dovrebbe tenere tanto alla pulizia dei suoi denti dal momento che periodicamente cadono e vengono rimpiazzati da nuovi denti. Anche scartando l’ipotesi dei residui di cibo e supponendo che il volatile liberi la bocca del coccodrillo da parassiti, resta la mancanza di prove che documentino tale simbiosi. Sembra che non esistano proprio foto o filmati che mostrino il volatile all’opera. Tutt’al più si possono vedere gli uccelli gironzolare vicino ai coccodrilli senza che questi tentino di attaccarli, ma questo, più che “amicizia”, sembra essere indifferenza. In effetti non è così facile catturare un animale che può volar via e per un animale della mole di un coccodrillo un piccolo uccellino non sarebbe certo un lauto pasto. Insomma, l’eventuale guadagno non vale lo sforzo.

FONTI:
- Giovan Lioni Africano, Della descrittione dell’Africa et delle cose notabili che ivi sono, in Primo volume delle navigationi et viaggi, in Venetia : Giunti, 1550, p.101v.
- Paul Lucas, Voyage de sieur Paul Lucas, fait en M. DCCXIV, &c. par ordre de Louis XIV. dans la Turquie, l’Asie, Sourie, Palestine, Haute & Basse Egypte, &c., nouvelle ed., t. III, Rouen : Robert Machuel, 1724, pp.8-9.
- An account of the services which the little bird called Trochilos renders to the Crocodile, “The Edinburgh Journal of Science”, IX, april-october, 1828, pp.68-72 (riassume la comunicazione di Geoffroy de Saint-Hilaire).
- J[ohn] G[ardner] Wilkinson, Manners and customs of the ancient Egyptians, London : John Murray, 1837, vol. III, pp.79-80; id., A popular account of the ancient Egyptians, New York : Harper & brothers, 1854, vol. I, p.243.
- Robert Curzon, A visit to monasteries in the Levant, New York : George Putnam, 1851, pp.131-132.
- J[onathan] M[ayhew] Wainwright, The land of bondage: its ancient monuments and present condition, New York : Appleton, 1852, p.88.
- W[illiam] R[obert] Wilde, Narrative of a voyage to Madeira, Teneriffe, and along the shores of the Mediterranean, Dublin : William Curry, 1852, pp.625-626.
- John M. Cook, lettera a “The Ibis”, V (1893), pp.275-277.
- Andrew Wilson, Science jottings, “Illustrated London News”, 27 maggio 1893, p.642.
- Alfred Brehm, Brehms Tierleben. Die Vögel, ed. riv. da William Marshall e completata da F. Hempelmann e O. zur Strassen, Leipzig : Bibliographisches Institut, 1926, t. II, p.301.
- Adam Britton, Crocodile myths #1. The curious trochilus, “Croc Blog”, 6 settembre 2009: http://crocodilian.blogspot.com/2009/09/crocodile-myths-1-curious-trochilus.html