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MAH, n.20, giugno 2010, pp.3-4
LIBRI
Renzo Rossotti,
I fantasmi di Torino, Roma : Newton, 2009.
L’autore racconta una serie di vicende del mondo del paranormale legate
a Torino. Tra i personaggi ricordati nelle pagine del libro ci sono Enrichetta
Naum, che praticava esorcismi (pp.85-92), Germana Grosso, che diceva di essere
in comunicazione telepatica con creature extraterrestri e che avrebbe preannunciato
l’attentato a John Kennedy (pp.117-119), e Linda Gazzera, una “fotocopia”
della più nota medium Eusapia Paladino (p.84). Gazzera presentò
anche foto di fantasmi come un “matto” che risultò però
uguale a uno studio di Rubens (pp.97-98 + figura p.99). Eufrasina (Sina) Bavastro
faceva i tarocchi e offriva rimedi di erboristeria e, soprattutto, l’“acqua
di luna”, una panacea che otteneva mettendo acqua in recipienti sul balcone
e nel cortile nelle notti di luna piena, ritirandola prima dell’arriva
del giorno e aggiungendovi una piccola dose di mirra (p.94).
Rossotti scrive che è sua intenzione presentare semplicemente dei “frammenti
di cronaca”, senza pronunciarsi né a favore né contro la
possibilità di fenomeni come quelli descritti e lasciando al lettore
il giudizio (p.14). Talora, però, appoggia asserzioni pseudoscientifiche,
come quando, parlando delle attività di psicofonia del “gruppo
K”, scrive: “C’è da tenere ben presente come lo spazio
che ci avvolge sia colmo di voci e di suoni […], appena emessi oppure
risuonati molto tempo fa e captati oggi. […] Non stupisce, dunque, che
possano anche finire sul nastro di un registratore”, portando come esempio
di caso possibile quello di un caduto in guerra (pp.168-169). Ricordando il
caso dei presunti fenomeni paranormali osservati da Lombroso in una cantina
nel 1900, però, non manca di osservare che tutto era cessato di colpo
“quando il garzone più giovane della soprastante osteria fu licenziato”
(pp.72-73).
Fabio Caironi, Storie
stonate : 50 leggende metropolitane sul mondo della musica, Roma : Avverbi,
2009.
Intorno al mondo del rock sono fiorite numerosissime leggende
metropolitane, alcune delle quali, come quella della presunta morte di Paul
McCartney (vedi “Mah”, n.6, dicembre
2006, pp.1-4) o quelle secondo le quali Elvis Presley e Jim Morrison sarebbero
ancora vivi. Se una leggenda vuole Morrison ancora vivo, un’altra invece
sostiene che la sua morte (come pure quella di altre stelle della musica come
Janis Joplin, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Brian Jones) sia da attribuire in realtà
a un omicidio. Numerose sono le storie che raccontano di messaggi subliminali
inseriti nei dischi, magari incisi al rovescio. Una leggenda curiosa è
l’assurda storia secondo la quale Gene Simmons, bassista e cantante dei
Kiss, si sarebbe fatto trapiantare la lingua di un bovino.
Nel 1969 la rivista “Rolling Stone” ospitò la recensione,
scritta da un tale T. M. Christian, di un disco di un misterioso gruppo chiamato
The Masked Marauders che avrebbe riunito in incognito Bob Dylan, Mick Jagger
e tre dei Beatles (John Lennon, Paul McCartney e George Harrison). La notizia
sarebbe stata eccezionale, ma si trattava di una bufala architettata da “T.
M. Christian” che, in realtà, era il critico musicale Greil Marcus.
Visto il successo della sua burla, Marcus pensò che il disco meritasse
di esistere davvero e così ingaggiò un gruppo di musicisti per
farlo.
Il libro di Caironi è una guida scorrevole tra queste ed altre leggende,
con una bibliografia per chi volesse approfondire i casi citati.
Barbara Frale, I
Templari e la sindone di Cristo, Bologna : il Mulino, 2009.
L’autrice si schiera tra coloro che ritengono che la Sindone
sia realmente il telo che avvolse il corpo di Gesù e accoglie la supposizione
che per un certo periodo della sua presunta storia antecedente al XIV secolo
sarebbe stata nelle mani dei Templari. Frale riprende l’idea di Ian Wilson
secondo la quale l’idolo venerato dai Templari di cui si parla nei processi
ai membri dell’ordine sarebbe stato nient’altro che la Sindone.
Purtroppo per l’autrice non vi è alcuna prova che la Sindone esistesse
prima della metà del XIV secolo, periodo al quale risalgono i primi documenti
storici che le riguardano e al quale è assegnata dagli esami con il carbonio
14.
L’autrice contesta la datazione con il C14 e ritiene che esistano prove
documentarie anche in tempi precedenti, ma le sue argomentazioni appaiono ben
poco convincenti. L’impressione, come nel caso di altri sostenitori dell’autenticità
della Sindone, è che l’autrice veda quello che vuole vedere.
Un esempio significativo è quello di un’illustrazione del codice
Pray che raffigurerebbe la Sindone (vedi fig. 11 nelle tavole del libro). Se
davvero così fosse, dato che il codice risale alla fine del XII secolo,
ci sarebbe una prova che la reliquia già esisteva un secolo e mezzo prima
che comparisse in Francia alla metà del XIV secolo. Secondo Frale e i
sostenitori di questa tesi, si vedrebbe “una faccia superiore a trama
spigata, e sulla quale si notano quattro buchi nella forma esatta in cui compaiono
sulla sindone di Torino quattro antichi fori dovuti a bruciature accidentali”
(p.150). L’affermazione lascia perplessi perché guardando il lenzuolo,
posto sul coperchio del sepolcro, non si vedono nulla di simile. Si possono
invece vedere dei segni che così possono essere interpretati sul coperchio
stesso: evidentemente l’autrice (e non è l’unica né
la prima) ha scambiato il coperchio per il lenzuolo. Piccoli cerchi come quelli
che l’autrice ha interpretato come fori si vedono, in numero e disposizione
diversi, anche sulla parte inferiore del sepolcro: si tratta evidentemente di
un motivo decorativo e non di buchi nel presunto telo. Scrive ancora l’autrice
che “un fatto di primaria importanza è che il Gesù del codice
Pray ha le mani in cui non si vedono i pollici: questo è estraneo a tutta
la tradizione dell’iconografia cristiana ma può derivare solo dalla
visione della sindone, nella quale appunto il pollice è ripiegato in
dentro (dunque invisibile) per via della lesione provocata dal chiodo al nervo
mediano” (p.151). E’ davvero curioso come l’autrice sembri
non notare che anche la mano sinistra del personaggio chinato sul corpo di Gesù
ha solo quattro dita visibili ed è disegnata in modo del tutto simile.
Un discorso analogo va fatto per le scritte che comparirebbero sulla Sindone.
Oltre a ricordare quelle già rese note, Frale “dà notizia
per la prima volta in questa sede” di “tracce di scrittura in caratteri
ebraici identificate da Thierry Castex” (p.167). Dei presunti caratteri
ebraici il libro mostra anche una foto (fig. 13) dalla quale appare chiaro che,
come negli altri casi, le lettere non sono sul telo, ma negli occhi di chi guarda.
Errico Buonanno,
Sarà vero : falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia,
Torino : Einaudi, 2009.
L’autore propone una storia dei falsi che spazia dal leggendario
Prete Gianni al fantomatico Priorato di Sion inventato da Pierre Plantard e
reso famosissimo dal Codice da Vinci di Dan Brown.
Ci sono gli impostori come George Psalmanazar, presunto nativo di Formosa, come
Caraboo, presunta principessa dell’isola di Javasu nell’oceano Indiano
(pp.175-176), come i tanti che si sono spacciati per qualche regnante defunto
o per Giovanna d’Arco (p.5).
Ci sono le truffe letterarie, come quelle di William Henry Ireland con i suoi
falsi scritti di Shakespeare, di Thomas Percy, scopritore di antichi componimenti
inglesi che in realtà erano sue creazioni, di Thomas Chatterton, che
inventò le poesie medievali di un inesistente Thomas Rowley, di James
Macpherson che disse di aver scoperto e tradotto, i canti del bardo Ossian,
in realtà farina del suo sacco (pp.176-193).
Il Corpus hermeticum non risale di certo all’antico Egitto (pp.45-46)
e lo Zohar, il “libro dello splendore” che è alla
base della tradizione cabalistica, non è la copia di un antico manoscritto
aramaico ritrovato verso la fine del XIII secolo dal rabbino Mosè di
León, ma un’opera scritta da quest’ultimo (pp.42-43).
L’abate Giuseppe Vella riscrisse il passato della Sicilia sulla base di
un codice che, però, si era inventato lui stesso. Václav Hanka
compose “frammenti di epica e lirica” attribuiti a un passato ceco.
Le Carte d’Arborea pubblicate dal gruppo guidato da Pietro Martini tra
il 1863 e il 1865 come se fossero veri documenti della Sardegna del ‘300
(pp.199-200).
La trattazione di questi e degli altri casi presentati nel libro è accompagnata
da note puntuali e in fondo al libro si trova un’ampia bibliografia.