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MAH, n.19, marzo 2010, pp.3-4
LIBRI
Roberto Giacobbo,
2012 : la fine del mondo?, Milano : A. Mondadori, 2009.
Roberto Giacobbo ha dato un notevole contributo alla diffusione di affermazioni
prive di ogni fondamento sui Maya. Lo ha fatto con il suo programma televisivo
“Voyager” e lo fa anche con questo libro. Il titolo si riferisce
alla presunta profezia maya sull’anno 2012. In realtà, non esiste
una sola prova che i Maya l’abbiano mai fatta e infatti, nonostante sia
l’argomento attorno al quale ruota il libro, nelle sue quasi duecento
pagine non viene mai detto da dove salterebbe fuori.
Anche i famosi teschi di cristallo sono stati legati alla profezia. Una storiella
racconta che quando i tredici teschi di cristallo saranno riuniti comincerà
una nuova era. Giacobbo scrive che si tratterebbe di una “leggenda che,
attraverso una tradizione orale, dai Maya è giunta fino a noi”
(p.49). La realtà è ben diversa. I Maya non potevano avere alcuna
leggenda sui teschi di cristallo per il semplice motivo che a quei tempi tali
oggetti non esistevano. La leggenda dei teschi non è giunta dai Maya
ai nostri tempi, ma, al contrario, è stata inventata ai nostri tempi
e riferita falsamente ai Maya.
Giacobbo riferisce una serie di affermazioni infondate sulle presunte proprietà
dei teschi di cristallo che vanno da leggende metropolitane su teschi che si
illuminano o producono rumori (pp.53, 57) fino a irresponsabili stupidaggini
su presunti poteri curativi (riferisce che Joke van Dieten Maasland, proprietaria
di un teschio di cristallo, chiamato “ET” per la sua strana forma,
afferma che tale oggetto l’avrebbe guarita da un tumore al cervello –
pp.60-61). Il conduttore di “Voyager” scrive che “la direzione
del British Museum […] ha inspiegabilmente evitato qualsiasi commento”
sui teschi chiamati Max e Sha-Na-Ra” (p.62). Il British Museum ha come
norma quella di non rilasciare dichiarazioni su oggetti appartenenti a collezioni
private: il fatto, dunque, che si sia espresso sul teschio appartenente alle
sue collezioni e su quello della Smithsonian Institution, ma non su Max e Sha-Na-Ra,
appartenenti a privati, non è inspiegabile, ma semplicemente l’applicazione
di tale norma (sui teschi di cristallo si può vedere il numero 12 di
“Mah”).
Giacobbo accoglie la nota, ma assurda, interpretazione che vede un veicolo spaziale
raffigurato su una lastra a Palenque (p.35). Il fatto che i Maya abbiano costruito
edifici a forma di piramide spinge l’autore a riproporre “piramidiozie”
come quella secondo la quale le piramidi “normalizzerebbero valori anomali
del sangue sia umano che animale” (pp.78-79).
Una perla del libro di Giacobbo è la seguente: “tra la fine degli
anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del XX secolo, nell’atmosfera
terrestre ha improvvisamente fatto la sua comparsa una presenza inedita: un
numero sempre crescente di particelle di luce dette ‘fotoni’”
(p.127). Dunque fino agli anni ’60 il mondo era immerso nelle tenebre?
Rifacendosi alle sconclusionate idee di José Argüelles, Giacobbo
ci propina una serie di frasi prive di ogni senso. Per esempio: “il DNA
[…] possiede un’infrastruttura con le caratteristiche dell’onda,
e […] i Maya avevano e avrebbero la capacità di trasmettere se
stessi sotto forma d’informazione nel codice stesso del DNA” (p.41).
Oppure: “una volta sincronizzato il campo d’informazione del Sole
con il flusso d’informazione dei sistemi più evoluti, può
avvenire la trasduzione dell’informazione: la fecondazione genetica del
campo planetario prescelto” (p.41). O ancora: “il loro essere trascenderebbe
la forma corporea, essi si incarnerebbero direttamente in alcuni individui fra
noi entrando nel loro codice genetico” (p.42). Nella stessa pagina: “I
Maya Galattici sarebbero pertanto capaci di materializzarsi istantaneamente
tramite un trasferimento cromo-molecolare” (p.42). Cosa significa “cromo-molecolare”?
O forse doveva essere “crono-molecolare” nel senso che
questi fantascientifici Maya sarebbero in grado di spostare la materia (molecolare)
anche attraverso il tempo (crono-)? Non che sia poi così importante stabilirlo:
in fondo, in un contesto di parole messe a caso, una vale l’altra.
Vi state chiedendo se gli studiosi citati da Giacobbo fanno uso di strane sostanze?
Per una volta, il libro può darvi la risposta che cercate: l’autore
ci informa infatti che Terence McKenna ha dato il via alle sue ricerche “facendo
uso degli allucinogeni utilizzati dagli sciamani per i loro riti” (p.101).
Joachim Bouflet,
Miracoli dall’Antico Testamento a oggi, Milano : Bompiani, 2009.
L’autore tratta dei miracoli, nel cristianesimo soprattutto,
ma anche in altre religioni. Secondo l’autore, che abbraccia la posizione
della Chiesa cattolica (è consulente al Servizio postulanti presso la
Congregazione per le cause dei santi), i miracoli esistono, ma è necessario
procedere con molta cautela di fronte a eventi presentati come tali, perché
potrebbe trattarsi di “frutti dell’illusione o interpretazione erronea
di fenomeni naturali, quando non […] inganno puro e semplice” (p.263).
A un’illusione ottica fu attribuito, per esempio, quanto avvenne nella
chiesa di Mourâo, in Portogallo, tra il 1996 e il 1998, quando “migliaia
di persone videro distintamente un’immagine di Cristo sovrapporsi all’ostia
nell’ostensorio”: un’indagine promossa dall’arcivescovo
di Evora concluse che si trattava di “un fenomeno naturale, provocato
dalla rifrazione della luce sulle figure incrostate nell’ostensorio”
(p.150). Bouflet ritiene che molti presunti miracoli di ostie che sanguinavano
possano essere spiegati con la presenza del Micrococcus prodigiosus,
un microscopico fungo che produce un pigmento rosso su farina e pane (pp.139-140).
Una vera e propria frode era quella della statua della Madonna di Assemini (1993),
smascherata da Giovanni Pannunzio: “La statua che versava sangue era truccata
e munita di un dispositivo sofisticato: è quella che i testimoni vedevano
piangere. Poi, al momento opportuno, dopo qualche giorno, veniva sostituita
con una statua identica, non truccata, sulla quale venivano riprodotti gli stessi
segni di pianto e di sangue. Quest’ultima sarebbe stata posta sotto esame
e le analisi e le radiografie avrebbero certificato che si trattava di una statua
non truccata”. Una perquisizione portò a scoprire la statua truccata
e un gran numero di foto della statua piangente sangue pronte per essere vendute
(pp.288-289). Bouflet ricorda che già nel XIII secolo un monaco, Jean
de Morigny, aveva esposto in un suo libro il trucco per far piangere le statue
(p.290).
A ragione l’autore scrive che, contro le frodi, è utile la consulenza
di un prestigiatore e ricorda come, nel 1988, l’illusionista Gérard
Majax aveva smascherato un truffatore che mostrava essudazione di olio dalle
mani dicendo che era legata a presunte apparizioni della Madonna (p.115).
Melissa Katsoulis,
Il libro dei libri bugiardi, Milano : Rizzoli, 2009.
Per i soldi o per divertimento, per la gloria o per vendetta,
da secoli vengono prodotti falsi letterari.
Nel XVIII secolo, James Macpherson divenne celebre per aver scoperto i versi
del bardo gaelico Ossian, Thomas Chatterton per quelli del poeta medievale Thomas
Rowley. Né Ossian, né Rowley, però, avevano mai scritto
alcunché, anche perché non erano mai esistiti: le loro acclamate
opere erano in realtà state scritte dai loro presunti scopritori.
Un tipo di libro che incontra molto successo è quello delle memorie di
vite fuori dal comune, per gli eventi vissuti, per le difficoltà incontrate
e superate. Alcune di queste “memorie” sono però, in realtà,
opere di fantasia. Tra i casi ricordati da Katsoulis c’è quello
di Philip Sessarego che raccontò, con lo pseudonimo Tom Carew, le sue
presunte gesta nel SAS, le forze speciali britanniche. C’è James
Frey che divenne famoso per la sua storia, inventata, di ex alcoolista e tossicodipendente
che con grande forza di carattere aveva superato i suoi problemi. C’è
Margaret B. Jones che scrisse di un suo immaginario passato di membro di una
gang, trafficante di armi e spacciatrice di droga.
Marlo Morgan disse che per il suo romanzo …e venne chiamata Due Cuori
si era affidata alle sue personali esperienze tra gli aborigeni australiani.
Le sue descrizioni degli usi di quei popoli, però, non risultavano credibili.
Chi li conosceva davvero non ebbe dubbi: l’autrice non aveva mai vissuto
tra quelle genti e la sua versione new age della loro cultura era non solo falsa,
ma pure offensiva.
Una truffa letteraria si può creare pure senza libro. E’ il caso
della burla architettata da Jean Shepherd che, dai microfoni della radio per
la quale lavorava, propose ai suoi ascoltatori di andare in libreria a chiedere
un libro inesistente, I, Libertine, scritto dall’altrettanto inesistente
Frederick R. Ewing. Sembra che lo scherzo sia venuto bene, che la voce sia girata
e che qualcuno abbia persino affermato di aver letto il libro e addirittura
di aver incontrato l’autore. Il successo fu tale che alla fine si decise
di fare davvero il libro (scritto da Betty Ballantine, moglie dell’editore,
dallo scrittore di fantascienza Ted Sturgeon e da Shepherd), dando in beneficenza
il ricavato delle vendite.