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MAH, n.16, giugno 2009, pp.3-4
LIBRI
Simon Singh – Edzard Ernst,
Aghi, pozioni e massaggi : la verità sulla medicina alternativa,
Milano : Rizzoli, 2008.
La medicina prevede che ogni farmaco o trattamento debba dimostrare la sua validità
superando prove condotte con rigoroso metodo scientifico. Simon Singh e Edzard
Ernst hanno applicato questo criterio alle medicine “alternative”,
esaminando in modo dettagliato gli studi condotti su quattro delle più
note e diffuse, ovvero agopuntura, omeopatia, chiropratica e fitoterapia, e
aggiungendo poi una serie di schede che, in modo più rapido, riassumono
le caratteristiche di altre trentasei terapie “complementari” e
la valutazione scientifica sulla loro validità.
Per quanto riguarda la fitoterapia, in molti casi le presunte proprietà
di alcune specie vegetali si sono dimostrate inconsistenti. Altre specie, per
le quali si è pure parlato di usi curativi, possono addirittura essere
pericolose. Insomma, non è detto che “naturale” equivalga
a “buono”. Questo non toglie che alcune erbe hanno dato realmente
buoni risultati per alcune patologie. Quando ciò avviene, non c’è
alcuna preclusione da parte della medicina a studiare tali specie e a valutare
il modo migliore di utilizzarle.
Un’analisi attenta delle prove sull’agopuntura ha limitato i possibili
effetti positivi al trattamento di alcuni dolori e della nausea e anche in questi
campi studi più accurati hanno portato a ridimensionare l’ottimismo
nato da alcune indagini. Risultati analoghi hanno dato gli studi sulla chiropratica.
Nonostante siano state avanzate dai suoi cultori pretese di cura per una vasta
gamma di affezioni, ne è stata provata una certa efficacia solo per il
trattamento del mal di schiena con risultati, peraltro, non maggiori della fisioterapia
o degli analgesici che sono anche più a buon mercato delle sedute di
chiropratica. Inoltre, l’applicazione della chiropratica alle vertebre
cervicali potrebbe anche rivelarsi pericolosa: sono documentati addirittura
casi di decessi in seguito alla manipolazione eseguita da chiropratici in tale
area.
In base alle ripetute diluizioni previste per la preparazione dei rimedi omeopatici,
in essi non può trovarsi più nulla del principio attivo. Di conseguenza
sarebbe davvero assurdo che potessero avere una qualunque efficacia. E infatti
le prove scientifiche hanno dimostrato che l’unico risultato riscontrabile
è l’effetto placebo.
Molti sostenitori delle medicine “alternative” si lamentano spesso
di una sorta di boicottaggio che sarebbe in atto nei confronti di queste terapie.
In realtà, come dimostra anche questo libro, è addirittura vero
il contrario. Per poter essere messi in commercio, i farmaci devono superare
dei test che ne attestino la validità. Al contrario, i rimedi omeopatici
vengono venduti nelle farmacie nonostante non ne sia mai stata provata l’efficacia.
“Se l’agopuntura fosse stata controllata alla stessa stregua di
un nuovo farmaco analgesico convenzionale,” scrivono gli autori, “non
sarebbe riuscita a dimostrare la propria efficacia e non sarebbe stata immessa
sul mercato” (p.94).
Sylvie Coyaud, La scomparsa
delle api, Milano : A. Mondadori, 2008.
La moria che negli ultimi anni ha colpito le api ha fatto circolare
una sorta di profezia secondo la quale se scomparissero le api nel giro di quattro
anni si estinguerebbe anche l’uomo. Autore di questa previsione sarebbe
addirittura Albert Einstein. Anche l’autrice del libro cita questa previsione,
ma dopo il nome dello scienziato mette, tra parentesi, un punto di domanda.
Nessuno infatti è mai riuscito a rintracciarla nelle sue opere. Le ricerche
di Snopes, sito specializzato in leggende metropolitane, non hanno trovato citazioni
anteriori al 1994, quando compare in un opuscolo distribuito dalla federazione
degli apicoltori francesi. “Einstein è morto nel 1955, […]
la sua profezia sarebbe sicuramente saltata fuori prima”, osserva l’autrice.
Potrebbe trattarsi di una frase detta “durante una conversazione e […]
tramandata a pochi intimi” e divulgata solo quando la moria delle api
l’ha resa attuale? O più semplicemente è una frase inventata
quando la moria delle api era già in atto e che Einstein, quindi, non
ha mai pronunciato, ma gli è stata attribuita per dare un’apparenza
di autorevolezza? (pp.3-7) Sembra però che la casa editrice del libro
non abbia prestato molta attenzione a queste argomentazioni. Nel risvolto di
copertina la profezia delle api è detta prudentemente “attribuita”
a Einstein, ma se ne parla come se fosse comunque conosciuta da tempo (“a
lungo considerata solo un paradosso e nient’altro che un’ipotesi
quasi fantascientifica, si sta rivelando, da qualche anno a questa parte, molto
più vicina alla realtà di quanto avremmo mai potuto immaginare”).
La copertina, poi, dichiara semplicemente: “«Quando spariranno le
api, all’umanità resteranno quattro anni di vita» Albert
Einstein”. Senza punti di domanda né dubbi.
Alberto Cavazzoli, Alla
ricerca del Santo Graal nelle terre dei Gonzaga, Reggio Emilia : Aliberti,
2008.
Nell’introduzione (p.13), Alberto Cavazzoli dice di essere
stato ispirato dal libro di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln Il
Santo Graal, nel quale Ferrante Gonzaga viene citato come Gran Maestro del Priorato
di Sion. L’autore, insomma, prende per buona la storia del Priorato di
Sion nonostante sia ormai ben noto che si tratta di un’invenzione di qualche
decennio fa e che i documenti che ne dovrebbero dimostrare l’esistenza
nei secoli passati sono dei falsi grossolani. La lista dei presunti “grandi
maestri”, dunque, non ha alcun valore e Ferrante Gonzaga non è
mai stato, né avrebbe mai potuto essere, “gran maestro” di
un’istituzione che ai suoi tempi neppure esisteva.
Il libro ripropone il solito folclore contemporaneo sul Graal, reso celebre
dagli autori sopra citati e, ancor più, da Dan Brown. Cavazzoli accetta
la fantasiosa etimologia che vorrebbe che “Santo Graal” derivi da
“Sang Real” (sangue reale) e riferisce questa interpretazione sia
alla presunta discendenza da Gesù e Maria Maddalena (pp.91, 93), sia
alla reliquia del sangue di Cristo. I Templari si affacciano qua e là
tra le pagine e non manca neppure Rennes le Chateau (p.63).
Paola Giovetti, 2012 : fine
del mondo o fine di un mondo?, Roma : Edizioni Mediterranee, 2008.
L’autrice passa in rassegna una serie di “profezie”,
compresa la presunta profezia maya legata all’anno 2012 che in questi
tempi è di moda (e che furbescamente dà il titolo al libro anche
se occupa in realtà solo alcune pagine). La stessa Giovetti riconosce
che molte previsioni si sono rivelate del tutto errate. Ammette anche che molte
profezie ritenute avverate sono state così interpretate, però,
solo dopo l’evento in questione. “I significati delle Centurie
di Nostradamus sono sempre stati scoperti ‘a posteriori’”
(p.18) e dei presunti successi del monaco Basilio “ce ne si è accorti
solo a fatti avvenuti” (p.35). Come lei stessa afferma parlando del “codice
Genesi” di Michael Drosnin, “una cosa è annunciare con chiarezza
l’evento futuro prima che esso si verifichi, altra cosa è scoprire
l’esistenza della previsione solo dopo che il fatto è avvenuto.
Si tratta, a mio giudizio, di una differenza fondamentale” (p.58). Nonostante
ciò, Giovetti sostiene che “la precognizione è una realtà”,
come afferma nel capitolo su Erik Jan Hanussen (p.67). Un caso cui l’autrice
attribuisce molta importanza è quello del “profetico francese”
che nel 1914 avrebbe previsto l’ascesa del nazismo, la seconda guerra
mondiale, l’alleanza dell’Italia con la Germania nel secondo anno
della guerra, la sconfitta e lo smembramento della Germania. Secondo Giovetti,
queste previsioni “costituiscono una prova importante della realtà
della precognizione” (p.61) e “uno dei casi più impressionanti
di precognizione a lunga scadenza” (p.64). “Si resta davvero sbalorditi”
(p.63), commenta. Forse perché rimasta troppo stupita, l’autrice
però si dimentica di spiegarci perché dovremmo credere che queste
lettere, pubblicate solo nel 1953, e quindi dopo gli eventi “previsti”,
siano davvero state scritte nel 1914. Il “profetico francese” avrebbe
previsto anche una terza guerra mondiale, che dovrebbe cominciare nell’anno
in cui la Pasqua cadrà il giorno di San Marco (25 aprile). Giovetti scrive
che questa profezia “fortunatamente non si è realizzata”.
Prende infatti per buona l’affermazione del parapsicologo Hans Bender
secondo il quale, dopo il 1943, il primo anno con Pasqua il 25 aprile sarebbe
stato il 1998: in tale anno, invece, la Pasqua è stata il 12 aprile.
Il primo anno con Pasqua a San Marco dopo la fine della seconda guerra mondiale,
invece, sarà il 2038. E’ curioso che in un libro che sostiene l’esistenza
della precognizione sia sbagliata persino una previsione, quella della data
della Pasqua, che poteva davvero essere fatta.