BIBLIOTOPIA

GIORGIO CASTIGLIONI
STORIE FALSE DI VERI ANIMALI
parte II: animali terrestri

Relazione alla conferenza Storie falsi di veri animali, Moltrasio, Biblioteca comunale, 19 aprile 2011
(parte I: animali acquatici, di Eletta Revelli)

Lo struzzo infila la testa sotto la sabbia quando è in pericolo?

C'è persino un modo di dire: "sei come uno struzzo, nascondi la testa sotto terra". Si riferisce a coloro che, in presenza di un problema, preferiscono non guardarlo, come sperando che si risolva per il fatto che lo si ignora.
La storia dello struzzo è antica. Ne parla, per esempio, Plinio dicendo che lo struzzo (foto a fianco, da Wikimedia Commons) è un animale così stupido che, quando viene attaccato, nasconde la testa in un cespuglio (in Plinio è così, non sotto terra) credendo che, non vedendo lui il predatore, anche il predatore non veda lui. Già nell'antichità c'era comunque anche un'altra interpretazione, che troviamo in Diodoro Siculo, vissuto poco prima di Plinio. Diodoro scriveva che il comportamento dello struzzo non era stupido come si diceva, ma era anzi intelligente perché, quando si accorgeva di non poter più sfuggire, proteggeva in questo modo la testa che era la parte più delicata. Poi il cespuglio è passato di moda e oggi parliamo della testa nascosta nella sabbia.
Vero o falso? Se ci pensiamo un attimo, se un animale, di fronte a un predatore che può attaccarlo, invece di scappare o difendersi (e lo struzzo ha zampe molto robuste), nascondesse la testa sotto terra ignorando il predatore, si sarebbe già estinto da un pezzo. Senza contare qualche difficoltà materiale: come scavare un buco adatto per nascondere la testa e non soffocare con la testa sotto terra. Quindi ci resta il detto, ma è FALSO.

Lo struzzo è protagonista di un cartone animato insieme a un coyote?

Le tre notizie più diffuse sugli struzzi sono: 1) è un grosso uccello che non sa volare (ed è vero), 2) mette la testa sotto la sabbia (e abbiamo detto che è falso), 3) è protagonista, insieme al coyote, del famoso cartone animato.
Il cartone animato di cui si parla lo abbiamo visto credo tutti da bambini o anche non da bambini. Uno dei due protagonisti è uno struzzo? La risposta è no. Uno è un coyote. L'altro non è uno struzzo, come generalmente viene creduto in Italia, ma un corridore della strada, un cuculide il cui nome scientifico è Geococcyx californianus (Geococcyx significa "cuculo di terra", californianus fa ovviamente riferimento alla California, anche se l'areale di diffusione è più vasto). D'altra parte, un coyote non potrebbe mai incontrare uno struzzo, essendo il coyote un animale nordamericano. Un coyote può invece incontrare un corridore della strada.
Il collo allungato del personaggio può ricordare uno struzzo, ma la coda lunga, il ciuffo sulla testa e la struttura generale dell'animale ricordano in modo più chiaro un corridore della strada. I colori, comunque, sono inventati.
Nella versione originale è chiamato Road Runner, che è il nome inglese dell'animale. Quindi è ufficialmente un road runner. Lo struzzo è una "traduzione" italiana zoologicamente scorretta.
[dal pubblico: "ma è veloce?"] Abbastanza. Ma non come quello dei cartoni animati. Va sui trenta chilometri all'ora.
Comunque questo cartone animato è anche una metafora della vita reale. Quello che è intelligente e si impegna finisce sempre male. Road Runner non è che sfoggi una grandissima capacità intellettuale: corre e basta. Il coyote, che architetta piani veramente geniali, finisce sempre male.
Dunque anche a quest'altra domanda rispondiamo: FALSO.

Il gatto può ritrarre gli artigli in modo che non fuoriescano dalle zampe?

E' proprio vero che il gatto fa rientrare gli artigli nelle zampe? Vedo che qualcuno dice "falso". Allora abbiamo un po' esagerato nel mettere dubbi perché in questo caso è del tutto VERO.

E' una caratteristica dei felidi (magari non tutti bravi come i gatti: il ghepardo li ritrae solo parzialmente). Il gattino, o un altro felide, può protrarre e ritrarre gli artigli secondo la necessità. Se vogliamo trovare qualcun altro che abbia questa capacità, possiamo citare un personaggio dei fumetti, Wolverine. Per chi non lo conosce, Wolverine è il più famoso degli X-Men, un gruppo di supereroi. Wolverine può estrarre e ritrarre degli artigli, in maniera molto peculiare: escono infatti attraversando la pelle e non scorrendo in appositi condotti come nelle zampe del gatto. Escono bucando la pelle. Il nome Wolverine è quello dell'animale che in italiano chiamiamo ghiottone (Gulo gulo). Questo animale ovviamente non ha artigli che balzano fuori attraverso la pelle, però su di lui c'è una strana leggenda, secondo la quale si riempiva di cibo oltre misura (non a caso si chiama "ghiottone") e quindi usava per liberarsi un sistema curioso: si infilava tra due alberi vicini e così si "spremeva", come tra due rulli, come quando si schiaccia il tubetto per fare uscire il dentifricio (naturalmente questo comportamente del ghiottone è FALSO).
Nei fumetti e nei film si racconta che Wolverine è un mutante che ha la citata capacità di far fuoriuscire degli artigli, non però dalla posizione dove sono le unghie, ma tra le nocche delle mani. I militari, volendolo utilizzare come supersoldato, gli avrebbero rivestito lo scheletro e questi strani artigli con un metallo speciale chiamato adamantio. Wolverine ha pure un'altra proprietà che si abbina con quella degli artigli che escono attraverso la pelle: la capacità di rimarginare istantaneamente le ferite. In effetti, se a qualcuno uscissero così degli artigli, si potrebbe pensare che si faccia delle ferite (e anche che si esponga al rischio di infezioni). Qui siamo comunque nel campo della fantascienza. Ma è possibile che esista un vero animale che fa uscire gli artigli o altro attraverso la pelle? Cosa direste? Sento che qualcuno dice "vero" e vedo qualcuno invece che scuote la testa per dire di no. No, il gatto non vale: gli artigli non bucano la pelle per uscire. Comunque, per quanto possa sembrare incredibile, esistono. Si tratta di alcune specie di rane della famiglia Arthroleptidae. Per esempio, il Trichobatrachus robustus, una rana africana (il nome del genere significa "rana pelosa", perché sul corpo ha qualcosa che sembra del pelo). Oppure Astylosternus rheophilus o A. laurenti. In realtà non si tratta di veri e propri artigli, ma punte ossee che queste rane possono fare sbucare fuori attraverso la pelle. Gli artigli veri e propri, invece, sono strutture cheratinose, non ossee. In generale le rane non hanno artigli, anche se c'è un'eccezione, il gruppo degli xenopi, una cui specie, Xaenopus laevis, è molto usata nei laboratori per la sperimentazione dei farmaci. In Sicilia qualche xenopo è fuggito tempo fa e si è formata una colonia in natura, che dà anche qualche problema perché toglie spazio alle specie locali.
Dunque, alcune rane artroleptidi possono far uscire attraverso la pelle delle punte ossee. E le ferite che così si fanno? Questo per gli anfibi può non essere un grande problema: sono specialisti nel rigenerare tessuti. Ci sono anfibi cui ricrescono dita tagliate. A cosa serve far fuoriuscire queste punte? Secondo gli autori di uno studio, sarebbe un'arma difensiva. Si racconta che le popolazioni africane che cacciano il Trichobatrachus per mangiarlo evitino di prenderlo con le mani, ma lo uccidano con strumenti, proprio per evitare di essere feriti. La punta ossea era già stata notata da qualche studioso prima che si scoprisse che poteva farla spuntare fuori e si era ipotizzato che potesse aiutare a far presa sul terreno.
Se siete rimasti sorpresi da questo, passiamo a qualcosa che è ancora più sorprendente. Si tratta del Pleurodeles waltl, una specie di salamandra. Siamo quindi sempre tra gli anfibi, ma, in questo caso, tra gli anfibi caudati. Come lo xenopo che abbiamo ricordato poco fa, anche questo animaletto è spesso usato in laboratorio. E' pure un viaggiatore spaziale: l'hanno portato in un missione spaziale per fare esperimenti. Ha una particolarità ancora più strana di quella di quelle rane artroleptidi di cui abbiamo detto. Può muovere e inarcare le costole addirittura fino a farne fuoriuscire le punte dai lati del corpo, bucando la pelle in corrispondenza a macchie di colore arancione che potrebbero avere proprio la funzione di attrarre l'attenzione di un potenziale predatore sulle punte che sporgono dal corpo. Si tratterebbe di un adattamento difensivo.
Dunque, è VERO che il gatto può protrarre e ritrarre gli artigli ed è pure VERO che alcuni animali possono far uscire delle strutture appuntite attraverso la loro pelle.

I lemming si uccidono in massa quando la popolazione cresce troppo?

Si racconta che i lemming, quando la popolazione cresce troppo, intraprendano delle migrazioni che li portano fino al mare nel quale si buttano uccidendosi, ristabilendo così l'equilibrio della popolazione. Il lemming che fa queste migrazioni di massa è il lemming norvegese (Lemmus lemmus).
Molti roditori possono avere delle grandi oscillazioni demografiche. Le esplosioni demografiche e le conseguenti migrazioni dei lemming erano molto evidenti e anche preoccupanti: nell'aspetto sembrano topolini e come i topi potevano creare danni ai prodotti alimentari. Se qualche topo nel granaio poteva dare fastidio, immaginate come gli agricoltori potessero vedere una fiumana di lemming: un flagello. Nelle descrizioni dei tempi si diceva che lasciavano dietro di sé il terreno come fosse stato bruciato. Non meraviglia che un fenomeno così rilevante e con ripercussioni pratiche abbia dato vita a leggende. Certo, oggi alcune di queste leggende ci fanno ridere, ma non dimentichiamo che per chi si trovava ad affrontare la migrazione dei lemming, la situazione era dura. A vederlo, è un animaletto così carino, ma le migrazioni erano un flagello.

Lemming norvegese (Lemmus lemmus)
(foto di Frode Inge Helland da Wikimedia Commons)

La prima domanda che gli uomini dei tempi di potevano fare era: da dove saltano fuori tutti questi lemming? Come abbiamo detto, c'è una spiegazione scientifica, legata alla fluttuazioni della popolazione. La spiegazione leggendaria era che piovessero dal cielo. C'è stato chi ha tentato di dare un possibile fondo scientifico a questa leggenda. Una spiegazione lo accostava al fenomeno della pioggia di pesci o di anfibi, ma per i lemming è davvero difficile pensare a ciò. Un'altra, che potrebbe anche funzionare per singoli e isolati casi, è che un lemming cadesse dagli artigli di un rapace che lo aveva catturato. Magari un evento del genere, se fosse capitato, poteva apparire una conferma alla leggenda, ma è difficile dire se può averla fatta nascere.
Poi c'era da spiegare come mai a un certo punto sparissero. Si raccontava che, una volta che avevano devastato tutto e non c'era più nulla da mangiare, si dividevano in due eserciti e facevano la guerra tra loro divorandosi. Si raccontava che i lemming si impiccassero ai rami degli alberi.
E poi c'era la storia che è diventata più famosa, ovvero che arrivavano fino al mare e si buttavano nelle acque uccidendosi volontariamente. Qualcuno ha tentato di darne una spiegazione scientifica, ipotizzando che un tempo la migrazione non incontrasse il mare, ma, in seguito, per qualche modifica, gli animali lo avrebbero trovato sul loro percorso e, guidati da un istinto ancestrale, avrebbero comunque proseguito. Non è molto convincente. Un'altra ipotesi avanzata è che per i lemming si trattasse di un errore di valutazione: credevano di poter attraversare a nuoto l'acqua che avevano davanti, ma l'impresa si è rivelata troppo ardua per le loro forze. Qui qualcosa di vero c'è: i lemming sono buoni nuotatori, ma può capitare che qualche esemplare, durante le migrazioni, anneghi per esempio nell'attraversare un torrente (anche se questo non significa, ovviamente, che si butti in acqua appositamente per annegare, anzi l'intento era quello di uscire vivo dall'altra parte).
Berger Evans, negli anni '40 dello scorso secolo, scriveva che prestar fede alla storia dei lemming che si annegano volontariamente era più un errore da intellettuali che un errore popolare e che la maggior parte delle persone probabilmente neppure la conosceva e, anche conoscendola, non vi avrebbe dato attenzione.
Almeno una parte di responsabilità nel fatto che la storia è poi diventata molto popolare ce l'ha un documentario della Disney, White wilderness. Il documentario parla anche della migrazione dei lemming. C'è, però, qualcosa che non va. Per cominciare i lemming sono sbagliati. Quelli che vediamo in White wilderness sono del genere Dicrostonyx, mentre i lemming norvegesi protagonisti delle grandi migrazioni e della storia dell'annegamento volontario appartengono al genere Lemmus (specie Lemmus lemmus). E' stato poi scoperto che i produttori avevano comprato un po' di lemming in Manitoba e li hanno portati in Alberta, dove è stato girato il documentario. Come è comprensibile, i lemming filmati non ne volevano sapere di buttarsi giù dal dirupo, li hanno spinti giù. Si tratta insomma di un falso documentaristico che ha alimentato il mito. Anzi, talvolta si sente dire che il mito è nato da questo documentario, anche se ciò non corrisponde al vero: come abbiamo visto, già esisteva da tempo. Il documentario è un po' ambiguo sull'argomento e dice "vi racconteremo una storia che è sia vera che falsa". Mette un po' le mani avanti. Di certo, comunque, non sono lemming norvegesi e li hanno buttati giù loro. Poi c'è anche uno stile cinematografico: nel documentario si buttano giù da un dirupo. Che entrassero tranquillamente in mare da una spiaggia non era altrettanto spettacolare. In una scena i lemming scendono lungo un dirupo. Se si guarda bene, però, si vede qualche esemplare che riesce a puntare le zampine e a cambiare direzione. Sembra dunque che quelli che scendono giù a capofitto più che farlo volontariamente, non riescono a frenare la discesa sul dirupo ricoperto di terra friabile.
Che i lemming si uccidano volontariamente durante le migrazioni è FALSO.

Gli elefanti hanno paura dei topi?

C'è chi nei secoli passati ha tentato di spiegare razionalmente questa storia diffusa già nell'antichità. L'ipotesi è che i topolini potrebbero infilarsi nella proboscide (questa l'ho sentita anch'io quando ero bambino) e creare dei danni, per esempio andando a finire nei polmoni e causando il soffocamento dell'elefante.
In una vignetta di Mark Parisi, un elefante incontra un topo, dapprima si spaventa, poi ci pensa su un po', lo spiaccica sotto la zampa e commenta: "è o non è sorprendente quando vecchi problemi hanno soluzioni così semplici?" In effetti, dovrebbe essere piuttosto il topo ad aver paura di un elefante.
E' solo una leggenda: FALSO.

Il coccodrillo vive in simbiosi con un uccello che gli pulisce i denti?

Questa storia si trova spesso anche in libri di zoologia ed è spesso presentata come il classico esempio di simbiosi tra animali. Il coccodrillo del Nilo vivrebbe in simbiosi con un volatile che gli entra in bocca e gli pulisce i denti da avanzi di cibo o la bocca dalle sanguisughe. Traendo vantaggio da questo servizio, il coccodrillo non mangia l'uccello.
Ci sono due uccelli che si contendono il ruolo di amico del coccodrillo: la pavoncella spinosa (Vanellus spinosus) e il Pluvianus aegyptius. La pavoncella spinosa si chiama così perché ha sulle ali una sorta di sperone. In una versione della storia, il coccodrillo non era proprio così propenso all'amicizia e, quando l'uccello aveva finito di fargli la pulizia orale, cercava pure di mangiarselo, ma l'uccello colpiva con gli speroni delle ali il palato del coccodrillo che, per il dolore, apriva la bocca e lasciava fuggire l'uccello.
Se mettete in Google Immagini "crocodile bird" i primi due risultati sono queste due immagini:

L'uccello di queste due immagini è il Pluvianus aegyptius. La prima poi si ripete molte volte nei successivi risultati. Poi ci sono disegni e anche altre foto in cui però l'amico del coccodrillo non è all'opera. Vediamo dunque queste due.
La seconda viene dal blog di una casa editrice di libri per ragazzi e illustra un articolo sul valore della "sinergia". Il coccodrillo sembra in effetti un normale coccodrillo del Nilo, ma se guardiamo bene, i denti sono un po' troppo vicini l'uno all'altro. I denti dei coccodrilli sono in realtà distanziati e questo, tra l'altro, rende di fatto impossibile che il cibo si incastri tra i denti, come potrebbe accadere a noi: questo toglie credibilità a una della versioni della storia, quella in cui l'uccello libera i denti dagli avanzi di cibo. Cercando un po', ho trovato da dove viene questa immagine. I margini neri facevano pensare che potesse essere un fotogramma da un video caricato su Youtube e, cercando lì, ho trovato la fonte. Nel filmato, uno dei volatili fa una cosa addirittura sorprendente: cammina a testa in giù sul palato del coccodrillo. Non molto credibile. Poi arriva un ragazzo e un Pluvianus va verso di lui attratto dai denti resi invitanti dall'uso di un prodotto mostrato alla fine: il filmato è una pubblicità. Gli animali del filmato non sono veri. Il coccodrillo è fatto bene, ma se avessero consultato un erpetologo avrebbero potuto ricevere un consiglio su come fare i denti. Tra l'altro, in una parte della mascella se li sono pure dimenticati.
L'altra immagine viene da un altro blog dove si parla di simbiosi. In essa vediamo come sono realmente disposti i denti del coccodrillo, ben più distanziati. In bocca c'è l'amico Pluvianus. Qui il particolare da guardare è la scritta in basso a sinistra: "© Warren Photographics". Andiamo quindi a cercare il sito di Warren Photographics, dove troviamo l'immagine con una didascalia che dice chiaramente: "digital reconstruction of popular myth". Si dice esplicitamente che è un fotomontaggio per rappresentare un mito.
Dunque le due immagini che possiamo trovare come documentazione della presunta simbiosi sono in realtà finzioni. Ben fatte, ma pur sempre finzioni. La si trova anche in un sito in cui si propone di applicare comportamenti di animali al management. Il titolo del sito è "The Bumble Bee", ovvero il bombo, un insetto simile all'ape. Il nome è stato scelto perché, secondo una storia che viene raccontata, il bombo non potrebbe volare secondo le leggi dell'aerodinamica, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Per l'autore del sito è un simbolo di come nulla sia impossibile. In Italia la storia viene raccontata con il calabrone invece del bombo. Forse "bombo" non suonava bene, mentre "calabrone" era più altisonante. Ovviamente dire che un animale vola contro le leggi dell'aerodinamica ha poco senso. Se davvero volasse in contrasto con le leggi, vorrebbe dire che le leggi non sono valide e esaurienti e vanno corrette, non che l'insetto compie qualcosa di impossibile. In realtà, pare che la storia sia nata da una battuta di qualcuno che, facendo i calcoli in base alle leggi, aveva ottenuto che non avrebbe potuto volare, ma chi ha fatto la battuta era con ogni probabilità ben conscio del fatto che il paradosso era dovuto al fatto che mancava, nel calcolo, qualche elemento.
Tornando alla simbiosi tra coccodrillo del Nilo e Pluvianus (o pavoncella spinosa), non abbiamo nessuna prova concreta (per maggiori dettagli sulla questione si può vedere un articolo su "Mah") del fatto che questo comportamento esista davvero. Nonostante i coccodrilli del Nilo siano animali ben conosciuti, nessuno studioso è mai riuscito a raccogliere prove certe di questa simbiosi. Può essere che il Pluvianus possa avvicinarsi al coccodrillo e che il coccodrillo non tenti di acchiapparlo, ma non significa che sia una prova di amicizia. Il coccodrillo piuttosto lo ignora. Una preda che può sfuggire facilmente, su un terreno che non è il suo preferito (il coccodrillo è un predatore più efficace in acqua). Quindi, almeno finché non giunga qualche prova, possiamo catalogare questo rapporto come FALSO.

Una lucertola che muore su un muro resta appesa?

Cominciamo con questa immagine:

Leptoglossus occidentalis morto, ma rimasto attaccato alla parete
(foto dell'autore - Parè, biblioteca comunale, 2011)

Questo è un Leptoglossus occidentalis morto che resta però appeso alla parete. Se guardate le ombre, notate che non è neppure attaccato con tutte le zampe. Ma si potrà dire: che accada con un insetto è già più facile. Pesa poco. E con una lucertola? Guardiamo queste foto:

lucertola morta appesa a un muro
(foto dell'autore - Como, Castel Baradello, 2009)

Questa è una lucertola morta appesa a un muro. L'ho vista e fotografata io in cima al Castel Baradello e posso assicurare che era morta. La coda scende verso il basso per la forza di gravità, anche la testa è un po' reclinata e la postura delle zampe mostra chiaramente che il corpo cadrebbe giù se le unghie non tenessero l'animale attaccato al muro. Ecco un fatto che può sembrare a prima vista poco credibile, ma che è VERO.

 

FONTI:

Struzzo: Diodoro Siculo, Biblioteca storica, vol. I, Milano : Rizzoli, 2004, pp.566-567 (III, 51, 6); Plinio, Storia naturale, X, 1; Encyclopedia Londinensis, or Universal dictionary of arts, science, and literature, vol. XXIII, London : Jones, 1828, voce “Struthio”, pp.644-646.

Ghiottone: Olao Magno, Storia dei popoli settentrionali, introduzione, scelta, traduzione e note di Giancarlo Monti, Milano : Rizzoli, 2001, p.279.

Rane artroleptidi: David C. Blackburn, James Hanken, Farish A. Jenkins Jr, Concealed weapons: erectile claws in African frogs, "Biology Letters", 4 : 4 (23 agosto 2008), pp.355-357.

Pleurodeles waltl: E. Heiss, N. Natchev, D. Salaberger, M. Gumpenberger, A. Rabanser, J.Weisgram, Hurt yourself to hurt your enemy: new insights on the function of the bizarre antipredator mechanism in the salamandrid Pleurodeles waltl, "Journal of Zoology", 280 : 2 (2010), pp.156-162.

Lemming: George Shaw, General zoology or systematic natural history. Vol. II, part 1, Mammalia, London : G. Kearsley, 1801, pp.76-80; William Mavor, The elements of natural history, 5. ed., London : Richard Phillips, 1806, pp.97-98; M., The Norway lemming, in “The weekly visitor”, 1835, pp.441- 443; Andrew Crichton – Henry Wheaton, Scandinavia : ancient and modern, Edinburgh : Oliver & Boyd, 1839, vol. II, p.414; James H. Fennell, A natural history of British and foreign quadrupeds, London : Joseph Thomas, 1841, pp.353-355; L[lewelyn] Lloyd, Scandinavian adventures, during a residence of upwards of twenty years, 2. ed., London : Bentley, 1854, pp.66-81; Bergen Evans, Storia dei luoghi comuni, Milano : Longanesi, 1948, pp.82-83; G. O. Batzli, Populations and energetics of small mammals in the tundra ecosystem, in Tundra ecosystems : a comparative analysis, ed. by L[awrence] C. Bliss, O. W. Heal, J[ohn] J.Moore, Cambridge – New York – Melbourne : Cambridge UP, 1981, pp.377-396; Karl Kruszelnicki, Great mythconceptions : the science behind the myths, Kansas City : Andrews McMeels, 2006, pp.39-42.

Elefante e topo: Plinio, Storia naturale, VIII, 10; Garcia de Orta, Aromatum, et simplicium aliquot medicamentorum apud indos nascentium historia, tr. lat. di Charles de l’Escluze (Clusius), 1567 (ed. orig. 1563), p.70; cit. in John Donne, The satires, epigrams, and verse letters, edited with introduction and commentary by W[esley] Milgate, OUP, 2000 (1.ed.: 1967), p.185; A. M. [Allan Mullen], Anatomical account of the elephant accidentally burnt in Dublin on Friday, June 17. in the year 1681, London : Sam. Smith, 1682, pp.34-35; John Ray, The wisdom of God manifested in the works of the Creation, 8. ed., corrected, London : William and John Innys, 1722, p.332.

Coccodrillo: Giorgio Castiglioni, Lo spazzolino del coccodrillo, "Mah", n.21, settembre 2010, pp.1-3.

 


Giorgio Castiglioni, bibliotecario a Parè e Moltrasio, è redattore di "Mah".
Comunicazioni: mah.giorgio AT gmail.com