BIBLIOTOPIA

GIORGIO CASTIGLIONI
V COME FALSO
parte II: i falsi nella storia e nella scienza

Relazione alla conferenza V come falso, Moltrasio, Biblioteca comunale, 1 aprile 2011
(parte I: I falsi archeologici, di Benedetta Cappi)

Il protagonista di 1984, il capolavoro di George Orwell, lavora per il Ministero della Verità, il cui compito, in omaggio al suo nome, è quello di falsificare documenti del passato come giornali, libri, foto in modo che siano sempre in linea con quello che al momento vuole il potere, rappresentato simbolicamente dalla figura del Big Brother. Le persone sgradite venivano cancellate, diventavano unpersons, "non persone" ("la sua stessa esistenza di un tempo sarebbe stata negata, e poi dimenticata"). Orwell era un acuto osservatore della realtà politica dei suoi tempi e il superstato del suo romanzo si richiama ai regimi totalitari nazista e stalinista.
I due loschi personaggi in primo piano nella foto qui sotto sono Stalin (al centro) e Nikolaj Ežov (a destra).

Ežov era stato commissario del popolo per gli affari interni e da quella posizione aveva guidato una feroce repressione. Nel 1938, però, era caduto in disgrazia (come nel 1936 era caduto in disgrazia il suo predecessore, Genrich Jagoda - e proprio Ežov, allora suo vice, aveva condotto le operazioni contro di lui, prendendone poi il posto). La foto fu ritoccata eliminando Ežov.
Un altro esempio è questa foto. Si tratta di una celebrazione del secondo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Nel gruppo fotografato ci sono persone che in seguito diventarono sgradite al regime sovietico: Artases Chalatov, che fu a capo del Gosizdat, la casa editrice di stato (indicato dalla freccia rossa), Lev Trockij (freccia azzurra) e Lev Kamenev (freccia gialla).

Kamenev ebbe alterne fortune nell'Unione Sovietica. Per un certo tempo fece parte della trojka che dirigeva il paese insieme a Stalin e Grigorij Zinov'ev. Poi Kamenev e Zinov'ev caddero in disgrazia e furono eliminate nelle "purghe". Il nome di Zinov'ev, quando era a capo dell'Internazionale Comunista, è legato anche a una lettera in cui si diceva che l'Unione Sovietica avrebbe sobillato le classi operaie in Inghilterra. La lettera fu resa nota da un giornale conservatore nel 1924, quando erano imminenti le elezioni nel Regno Unito. Era però un falso. Conteneva anche un errore di denominazione: l'organismo presieduto da Zinov'ev veniva chiamato Terza Internazionale, un nome usato in altri paesi, ma non ufficiale. Lo stesso Zinov'ev dichiarò che si trattava di un falso. Il fine della falsificazione era quello di far guadagnare voti al partito conservatore mostrando il pericolo che la Russia sovietica poteva costituire.
Non è certo l'unico esempio di falso documento storico. Un caso celebre è quello della Donazione di Costantino, su cui si sarebbe fondato il potere temporale della Chiesa. L'umanista Lorenzo Valla, nel XV secolo, fece una minuziosa analisi filologica del documento per dimostrarne la falsità.
Ci sono le contraffazioni di documenti d'identità e di valuta, soldi e francobolli. Un caso curioso è quello dell'artista J. S. G. Boggs, autore di disegni che raffigurano banconote. E' stato anche denunciato e processato per falsificazione. E' prevalsa comunque la linea della difesa che chiedeva l'assoluzione perché si trattava evidentemente di opere d'arte, senza alcun intento di truffa.

Ci sono i falsi letterari. Per esempio i famosi Canti di Ossian, un bardo i cui versi sarebbero stati raccolti da James McPherson. McPherson, in realtà, se li era inventati. Un genere in cui si trovano diversi falsi è quello delle memorie di vite contrassegnate da eventi tragici. Possiamo ricordare il caso di Misha Defonseca che in Sopravvivere con i lupi raccontò che da bambina era stata deportata dai nazisti e che, sfuggita, era stata allevata da un branco di lupi. Alla fine l'autrice ha confessato di essersi inventata tutto. Non è l'unico caso di false memorie dell'Olocausto: un altro esempio è quello di Binjamin Willkomirski e ce ne sono altri.
Altri falsi biografici parlano di vite difficili, segnate da malattie, violenze, droga. Un esempio è Anthony Godby Johnson, un ragazzino malato di Aids che raccontò in un libro la sua commovente esperienza. Il ragazzino, però, non è mai esistito. Un grande successo ebbe J. T. LeRoy. Il suo libro era un romanzo, ma lo si diceva ispirato alla sua vita. Neppure lui, però, esisteva. Raggiunto il successo, la vera autrice ingaggiò persino una ragazza per recitare il ruolo del presunto autore. Anni fa ebbe un grande successo un libro che in Italia fu tradotto col titolo Alice : i giorni della droga. Si sarebbe trattato delle memorie di una ragazza tossicodipendente, ma era in realtà opera di Barbara Spark, una signora che si era messa in testa di dare un segnale morale inventandosi queste presunte memorie.
Ci sono i falsi musicali. Uno specialista era Fritz Kreisler, violinista statunitense di origini austriache, che scrisse alcune opere attribuendole ad autori come Tartini, Vivaldi e Pugnani. Non si tratta di una vera truffa, ma più di uno scherzo, confessato senza problemi dall'autore.
Ci sono i falsi artistici. Un nome noto è quello di Han van Meegeren, noto specialmente per i suoi falsi Vermeer. Un aspetto paradossale dell'attività di van Meegeren è che, dopo che per tutta la sua carriera di falsario aveva fatto in modo di non fare scoprire i suoi falsi, al termine della seconda guerra mondiale si trovò a cercare di convincere una giuria che erano falsi. Infatti aveva venduto un quadro ai nazisti e rischiava una condanna come collaborazionista. Riuscì però a dimostrare che era in grado di dipingere un Vermeer e se la cavò con una condanna per truffa. Un altro paradosso è che divenne tanto famoso che falsi van Meegeren furono dipinti e venduti dal figlio e da altri: i falsi di un falsario!
Ci sono i falsi archeologici, di cui vi ha già parlato Benedetta. Mi limito quindi a ricordare i teschi di cristallo. Uno di questi manufatti è conservato al British Museum. Ce n'è uno anche alla Smithsonian Institution. Il più famoso in assoluto è forse quello che sarebbe stato trovato nell'Honduras Britannico (oggi Belize) da Frederick Mitchell-Hedges. Ce sono poi altri meno celebri. C'è chi li ha attribuiti a civiltà precolombiane. Qualcuno ha sostenuto addirittura che proverrebbero da Atlantide o addirittura da extraterrestri (e una cosa non esclude l'altra: dagli alieni ad Atlantide e da qui in America). Lo stesso Mitchell-Hedges fece cenno a storie del genere. Ma anche lasciando da parte alieni e Atlantide e le sciocchezze sulla comunicazione telepatica o i poteri di guarigione, resta la domanda: provengono comunque da civiltà precolombiane? In realtà non esiste un solo teschio che provenga da uno scavo documentato. Un tale Nick Nocerino ha trovato il suo teschio con l' "archeologia metapsichica" che sarebbe "la capacità di localizzare antichi tesori e opere d’arte grazie a un’intuizione che entra in misteriosa consonanza con i luoghi in cui essi sono sepolti". Non è facile capire cosa questo voglia dire. Secondo Nocerino, "gli archeologi sono eccessivamente burocratici: registrano con precisione il luogo in cui ogni pezzo è stato rinvenuto, ne misurano il livello rispetto al suolo, ed elencano tutti gli altri pezzi rinvenuti nelle vicinanze". Sono infatti operazioni che ogni archeologo serio fa. Ma per lui "in scavi del genere non si trova proprio niente". E in fondo ha ragione perché in scavi ben documentati un teschio di cristallo non sarebbe mai saltato fuori. In realtà si tratta di falsi realizzati nel XIX secolo o oltre.

Nel 1893 Charles Dawson presentò un reperto eccezionale: una statuetta in ghisa di età romana. Per quanto si sapeva, i Romani non conoscevano la lavorazione della ghisa, che sarebbe stata introdotta molti secoli dopo. Una scoperta rivoluzionaria? Più semplicemente un falso.
Dawson era uno specialista del falso. Possiamo citare altre sue imprese. Sempre di età romana sarebbe stato un reperto che presentava il nome antico della località di Pevensey. L'esame della turmoluminescenza fatto nel 1972 ha mostrato che poteva risalire agli inizi del '900.
Un falso piuttosto curioso è quello del rospo nella pietra. Che i rospi potessero sopravvivere a lungo imprigionati nelle pietre era una vecchia leggenda. Dawson riuscì a "trovarne" uno. Il rospo nella pietra di Dawson è ancora oggi esposto al Booth Museum of Natural History di Brighton, in Inghilterra. Ovviamente non viene presentato come una prova del presunto fenomeno, ma come un falso.

Il rospo nella pietra di Dawson
foto: Booth Museum of Natural History di Brighton

Dawson "scoprì" anche, a Bulverhythe, una mazza fatta con un corno di cervo. Il corno era davvero antico, ma la lavorazione era contemporanea. Un'altra "scoperta" furono i denti di un mammifero preistorico sconosciuto, attribuito al genere Plagiaulax e chiamato in suo onore Plagiaulax dawsoni. I denti, però, erano stati limati artificialmente. Questi due ultimi casi ricordano due particolari della più celebre truffa di Dawson, di cui parleremo tra poco.
La barca di Bexhill sarebbe stata una sorta di anello mancante tra le più antiche coracles e le imbarcazioni successive. Le circostanze della presunta scoperta della barca sono però molto fumose. Allo stesso modo il ferro di cavallo di Uckfield, presentato da Dawson nel 1903, doveva essere una via di mezzo tra due forme conosciute.
Un "anello mancante" (anche se l'espressione stessa andrebbe discussa, da un punto di vista scientifico) era pure il più celebre dei falsi di Dawson, l'uomo di Piltdown. Nel 1912 venne annunciato il ritrovamento, da parte di Dawson, di frammenti di un cranio di forma umana con una mandibola che aveva invece caratteri di scimmia (o, per essere più precisi, di una scimmia che non sia un uomo). Erano le caratteristiche che si pensava dovesse avere un progenitore degli uomini e come tale fu interpretato. Ricevette, in onore al suo "scopritore", il nome Eoanthropus dawsoni, l' "uomo dell'alba di Dawson". Oltre che da Arthur Woodward Smith, lo studioso amico di Dawson che presentò la presunta nuova specie, l'uomo di Piltdown fu accolto con favore da altri studiosi di fama come Arthur Keith e Grafton Elliot Smith. Nel 1913 Teilhard de Chardin trovò un canino che aveva le caratteristiche che ci si aspettava. Un secondo ritrovamento di ossa craniche a Netherhall Farm, non lontano da Piltdown (il sito fu chiamato Piltdown II) corroborò la "scoperta" e anche studiosi che si erano mostrati scettici, come Marcellin Boule, riconobbero l'uomo di Piltdown che mantenne il suo posto nella letteratura sugli ominidi fino al 1953 quando l'analisi della fluorina condotto da Joseph Weiner, Kenneth Oakley e Wilfred Edward Le Gros Clark dimostrò che mandibola e cranio avevano datazioni diverse e quindi non potevano provenire dallo stesso individuo. Dunque i caratteri tipicamente umani del cranio e "scimmieschi" della mandibola non significavano che le ossa appartenevano a una forma di transizione, ma si spiegavano con il fatto che il cranio era umano e la mandibola era di un orango. Il consumo dei denti della mandibola appariva sì come quello prodotto dalla masticazione umana, ma era in realtà stato fatto in modo artificiale, come era già stato fatto nel caso sopra ricordato del Plagiaulax dawsoni (e insieme all'uomo di Piltdown fu ritrovato un osso animale lavorato come nel caso del corno di Bulverhythe).
Per quarant'anni, però, l'uomo di Piltdown aveva imbrogliato gli scienziati. Non tutti, però. David Waterston, del King's College di Londra, ritenne dall'inizio che la mandibola appartenesse a una specie diversa e restò di questa idea per tutta la vita (morì nel 1921). (Weiner 2004, p.9; Feder 2004, p.100). Gerrit S. Miller, della Smithsonian Insitution, era del medesimo parere e fece notare che la mancanza del condilo, "sia un dolo deliberato che una disposizione naturale", toglieva una possibilità di verifica (Weiner 2004, p.9; Feder 2004, pp.100, 103). Franz Weidenreich, nel 1943, disse che il cranio era umano, ma la mandibola non lo era e sembrava piuttosto di orango (la valutazione si è dimostrata corretta) (Feder 2004, p.100).

Per restare in tema di uomini preistorici, più recentemente c'è stato il caso di Reiner Protsch von Zieten.
Il "suo" uomo di Hahnöfersand avrebbe avuto 36.000 anni e avrebbe dimostrato che le linee dell'uomo di Neandertal e della nostra specie si sarebbero incontrate. La donna di Bischof-Speyer sarebbe stata una Neandertal del 19.300 a.C. Il cranio di Paderborn avrebbe avuto 27.400 anni. I tre fossili, però, avevano suscitato dubbi. Nel 2001 Thomas Terberger chiese una datazione al laboratorio di Oxford. Il responso fu che il primo risaliva a 7500 anni fa, la seconda era circa del 1300 a.C. e il cranio di Paderborn era databile alla metà del XVIII secolo.
Fu sconfessata anche la pretesa di Protsch di aver trovato un fossile di Adapis in Svizzera, dove sarebbe stato un caso unico. Il fossile proveniva invece dalla Francia, da un'area in cui ne erano già stati trovati altri. Un'indagine del giornale "Der Spiegel" scoprì che persino la seconda parte del cognome, von Zieten, era falsa, aggiunta da Protsch per darsi arie nobiliari.
In ogni caso, non tutti gli antropologi erano convinti dai reperti di Protsch e dalla datazione loro attribuita. Chris Stringer ha dichiarato che l'uomo di Hahnöfersand non era mai stato tenuto in gran considerazione e non era mai stato considerato un Neandertal.

Insieme ai fossili dei nostri precedessori, quelli che sono forse i più ambiti sono quelli che mostrino ciò che un giornale che voglia far colpo sui lettori potrebbe chiamare "l'anello mancante tra rettili e uccelli", ovvero, in termini più corretti, una forma di transizione tra i dinosauri non aviani e i dinosauri aviani (ovvero gli uccelli). Nel 1999 questo fossile sembrò essere saltato fuori: la parte superiore aveva caratteristiche da uccello, mentre la coda era da dinosauro non aviano. La bestia era sensazionale. Proveniva dalla Cina ed era stato acquistato dal proprietario di un museo nello Utah, Stephen A. Czerkas. Czerkas contattò il paleontologo Phil Currie il quale accettò di scrivere l'articolo che presentasse l'animale a condizione che poi il fossile fosse rimandato in Cina: pare infatti che fosse stato trovato nel 1997 da operai cinesi, venduto nel giugno del 1998 a un commerciante americano e da questi portato illegalmente fuori dalla Cina. Czerkas, pur non entusiasta, accettò. I due pensarono di pubblicare la descrizione sulla prestigiosa rivista "Nature" e poi un articolo divulgativo su "National Geographic". Currie notò però che non si vedeva l'unione tra il corpo e la coda. Il fossile fu portato all'università del Texas a Austin dove Timothy Rowe eseguì un'analisi e diede un verdetto che stroncava la presunta scoperta: i frammenti con la coda e le zampe posteriori avevano caratteristiche diverse rispetto a quelli con la parte anteriore. Non provenivano, insomma dallo stesso esemplare. Kevin Aulenback affermò che la ricostruzione comprendeva pezzi provenienti da almeno tre e forse anche cinque esemplari diversi. Nonostante questi pareri negativi, Currie e Czerkas presentarono l'articolo a "Nature", chiedendo una pubblicazione rapida. La rivista rifiutò perché mancava il tempo per far valutare l'articolo con la "peer review". L'articolo fu allora presentato a "Science". Due reviewers della rivista, però, riferirono che il fossile sembrava manipolato e la rivista rifiutò l'articolo. Neppure questo, però, fermò Currie e Czerkas e il presunto animale fu presentato nell'ottobre del 1999 in una conferenza stampa del "National Geographic" e comparve nel numero di novembre della rivista. Gli fu anche dato un nome costruito come i nomi scientifici: Archaeoraptor liaonginensis (si diceva però che non si doveva considerarla un'assegnazione di nome, cosa che sarebbe stata fatta nella descrizione scientifica su una rivista peer reviewed).
Currie, però, cominciò ad ammettere che qualche problema c'era. Lo studioso cinese Xu Xing notò che la coda appariva uguale a quella di un dinosauro che stava studiando (sarà descritto nel 2000 con il nome di Microraptor zhaoianus). Già nel febbraio e marzo del 2000, il "National Geographic" diede spazio ai dubbi sul fossile. Nel numero di ottobre un articolo di Lewis Simmons presentò i risultati dell'indagine compiuta sull'Archaeoraptor, rivelando che era stato composto con esemplari diversi.
Chi aveva descritto l'Archaeoraptor come metà uccello e metà dinosauro non aviano aveva in fondo indovinato, anche se non nel senso in cui l'aveva inteso: in effetti la parte superiore era di un uccello (uno Yanornis) e la coda era di un dromeosauro (il citato Microraptor zhaoianus).
Spesso antievoluzionisti citano l'Archaeoraptor come argomento contro la teoria dell'evoluzione. Ovviamente ciò non ha senso. Sarebbe come dire che il ritrovamento di una banconota falsa può suggerire che vengano stampate solo banconote false. Un fossile che mostrasse una forma di transizione tra dinosauri non aviani e dinosauri aviani sarebbe una conferma in più della validità della teoria evoluzionistica, ma questa teoria, anche senza, ha già conferme abbondanti.
Più in generale, l'Archaeoraptor è portato come prova di come la scienza possa sbagliare. Che anche la maggioranza degli scienziati possa essere tratta in inganno è vero, come dimostra il caso dell'uomo di Piltdown (riferendosi al quale l'Archaeoraptor è stato soprannominato "il pollo di Piltdown"), per quanto sia assai raro. Il caso dell'Archaeraptor, però, dimostra semmai il contrario. Le riviste scientifiche a cui era stato proposto l'articolo con la descrizione del presunto animale, prima "Nature" e poi "Science", lo hanno rifiutato. L'Archaeoraptor è stato presentato senza essere stato descritto su una rivista scientifica con peer review e anche senza tener conto dei dubbi subito sollevati da Rowe. Insomma, l'errore è stato, al contrario, non aver seguito quello che la scienza richiedeva di fare.

Ernst Haeckel era un noto, e peraltro valido, biologo, acceso sostenitore dell'evoluzionismo. Sosteneva anche la cosiddetta teoria della ricapitolazione, secondo la quale l'ontogenesi ricapitola la filogenesi, ovvero lo sviluppo embrionale di un essere ripercorre gli stadi dell'evoluzione. Secondo questa ipotesi, per esempio, l'embrione umano attraverserebbe stadi embrionali in cui presenta caratteristiche da pesce, da anfibio, da rettile. I disegni degli embrioni inseriti da Haeckel nelle sue opere ne sarebbero una dimostrazione se non fossero, come si diceva, fasulli. I disegni non erano la raffigurazione di veri embrioni, ma disegni realizzati in modo da dimostrare la sua tesi. Già ai tempi della pubblicazione dei libri di Haeckel alcuni studiosi avevano espresso le loro perplessità. Lo zoologo Adam Sedgwick aveva scritto: "non sento di dover qualificare l'accuratezza dei disegni di embrione". Louis Agassiz aveva annotato sulla sua copia di un libro di Haeckel commenti sdegnosi: "somiglianze confezionate ad arte mescolate a inaccuratezze", "da dove sono tratte queste figure? In tutta la letteratura non esiste nulla del genere", "copiate l'una dall'altra! Infame!" (cit. in Gould 2007, pp.340, 342). Lo stesso Haeckel, di fronte ad alcune critiche rese pubbliche, aveva ammesso di aver fatto qualche errore o, in mancanza di un'immagine dal vivo, di aver fatto ricorso alla "sintesi comparata" (Di Trocchio 1993, pp.255, 258), ovvero, in altre parole, di aver immaginato lui come doveva essere l'embrione.

Tavole di J. G. Bach per Ernst Haeckel, Anthropogenie (1874) - fonte: Wikipedia

Tra il 1995 e il 1997, Michael Richardson scrisse della vicenda e antievoluzionisti come Michael Behe sfruttarono tali affermazioni per polemizzare contro l'evoluzionismo.
In realtà, come si è visto, non c'era nulla di nuovo. Richardson aveva semplicemente riferito un episodio noto agli studiosi presentandolo correttamente come tale, senza mai affermare di aver fatto lui la scoperta (furono semmai alcuni giornali a credere, sbagliando, che lo avesse scoperto lui). Ma soprattutto non c'era nulla che fosse in contrasto con l'evoluzionismo. La teoria della ricapitolazione non solo non è necessaria per l'evoluzionismo, ma, anzi, dopo aver goduto di una certa notorietà ai tempi di Haeckel, già intorno al 1910 era stata accantonata dagli evoluzionisti. La vicenda, dunque, non mostra una falla nell'evoluzionismo, ma, invece, come qualche antievoluzionista poco conosca la teoria dell'evoluzione e la storia della scienza.

Durante la seconda guerra mondiale, il duomo di Lubecca fu colpito dai bombardamenti. Quando si decise di compiere i restauri degli affreschi del XIII secolo, l'operazione fu affidata a Dietrich Fey che incaricò dell'esecuzione Lothar Malskat. Quando, però, fu osservato il risultato, venne il dubbio che più che restaurare gli affreschi preesistenti, le raffigurazioni fossero state inventate di sana pianta. Un errore clamoroso di questa falsificazione artistica fu quello di dipingere un uccello che era chiaramente identificabile come un tacchino. Come poteva, infatti, un pittore medievale aver dipinto un animale di origine americana che in Europa era comparso solo dopo la scoperta di Colombo?

Già nei secoli passati venivano fabbricati animali dalle forme misteriose manipolando le razze, pesci a scheletro cartilagineo. In un libro pubblicato nel 1558, Conrad Gesner riferiva che alcuni "usano far seccare le razze e modellare il loro scheletro in varie forme che suscitano la sorpresa della gente". Un'illustrazione mostrava una sorta di serpente alato. Ulisse Aldrovandi, in un'opera edita nel 1638, pubblicò due disegni di "draghi" costruiti con razze opportunamente modellate.
Uno dei più noti "mostri artificiali" fu la sirena delle Figi, con parte posteriore da pesce e parte anteriore scimmiesca. Si dice sia stata fabbricata intorno al 1810 da un pescatore giapponese, dal quale sarebbe passata a mercanti olandesi e quindi al capitano Samuel Barrett Eades, che l'avrebbe esposta a Londra. Il figlio del capitano Eades, ricevuta la sirena in eredità, la cedette a Moses Kimball, proprietario del Boston Museum, che, però, non la espose e la vendette nel 1842 al celebre P. T. Barnum. Nelle mani di Barnum, la sirena delle Figi divenne una grande attrazione. A portare in pubblico la sirena che poi Barnum espose fu un tale che si presentò come dottor Griffin, inglese. In realtà questi altri non era che Levi Lyman, che lavorava per Barnum, e la storia dell'inglese giunto con la strana creatura era ovviamente un trucco per farsi pubblicità.
Un essere simile c'era anche a Como: il "pesce scimmia di origine cinese" che un tempo era nel museo del Collegio Gallio di Como. Era lungo poco meno di mezzo metro, composto dal corpo di un pesce sul quale erano innestati un busto con gli arti anteriori e una testa vagamente scimmieschi. A giudicare dalle foto pubblicate sul "Periodico della Società Storica Comense", la parte anteriore appare decisamente artificiale, fatta con qualche materiale come la cartapesta o altro. Per quel che si può vedere, i denti non sembrano proprio da scimmia, mentre potrebbero essere di pesce. Un mostriciattolo quasi identico è ai National Museums of Scotland.

Il "pesce scimmia di origine cinese" del Collegio Gallio di Como (da Figini 1932, p.239)

L'uso di costruire creature dall'aspetto insolito era dunque diffuso e ben conosciuto, tanto che fece sospettare anche di un animale vero. Il naturalista George Shaw, che nel 1799 descrisse scientificamente l'ornitorinco, disse che, quando aveva visto il corpo dell'animale inviato dall'Australia, aveva dapprima pensato a un falso e l'aveva esaminato accuratamente alla ricerca di dettagli che svelassero una frode prima di convincersi che era un animale autentico. Shaw scrisse che l'ornitorinco aveva "un becco perfettamente somigliante a quello di un'anatra innestato sulla testa di un quadrupede. La somiglianza è così precisa da suscitare naturalmente, a prima vista, l'idea di un preparato truffaldino [...] ma devo confessare che non riesco a percepire alcuna apparenza di preparazione truffaldina [...] né l'esame più accurato di esperti anatomisti riesce a scoprire alcun inganno".

Una truffa era stata invece quella della Physis intestinalis. Si sarebbe trattato di un verme intestinale che fu presentato al naturalista Giovanni Antonio Scopoli, il quale lo descrisse in un suo libro nel 1786. Purtroppo per lui era in realtà un tratto dell'esofago e trachea di una gallina. Lazzaro Spallanzani, che aveva un conto in sospeso con Scopoli (insieme ad altri, lo avevano accusato di aver rubato pezzi della collezione del museo dell'ateneo pavese), scrisse sotto falso nome un libro che elencava un gran numero di errori commessi dal rivale nelle sue opere e non mancò, ovviamente, di sottolineare questo abbaglio.

Albert Koch, nel 1839, usando resti genuini di mastodonti, assemblò un enorme animale preistorico che chiamò Missourium e che fu esposto a Londra. Il trucco fu scoperto, ma qualche anno (1845) dopo riprovò il colpo. Unendo i resti di più esemplari di basilosauro (nonostante il nome, si tratta di un mammifero, un cetaceo preistorico), costruì lo scheletro di un enorme creatura che chiamò Hydrarchos sillimanni (Hydrarchos significa "signore dei mari" e sillimanni è una dedica allo scienziato Benjamin Silliman). Lo presentò come un serpente di mare, antenato di quelli che al tempo venivano di tanto in tanto avvistati. Il professor Wyman, che andò a vederlo, capì subito l'imbroglio.
A proposito di serpenti di mare, anche Charles Dawson, lo "scopritore" dell'uomo di Piltdown, sostenne di averne visto uno, nel 1906. Ne parlò a Arthur Smith Woodward, ma non ricevette, a quanto pare, grande attenzione e lasciò cadere la storia.

Questi falsi non sono solo un fenomeno del passato. Un caso piuttosto recente è quello del bovino mangiatore di serpenti del Vietnam. Peter e Feiler lo hanno descritto scientificamente nel 1994, col nome di Pseudonovibos spiralis, sulla base delle corna, con una curvatura caratteristica, che erano riusciti a procurarsi. I due studiosi erano però stati tratti in inganno: le analisi hanno mostrato che i reperti appartengono alla specie Bos taurus (i comuni bovini domestici, mucche e tori) e che la curvatura era prodotta artificialmente.

Nel 1763 Linneo descrisse con il nome di Papilio ecclipsis una farfalla che appariva quasi identica alla cedronella (allora denominata Papilio rhamni, poi ribattezzata Gonepteryx rhamni), ma se ne differenziava per delle macchie scure sulle ali. Si racconta (non posso assicurare che sia vero) che quando l'inganno fu scoperto, Edward Grey, curatore del British Museum, distrusse per la rabbia l'esemplare contraffatto. L'entomologo William Jones, però, riprodusse con l'inchiostro la finta farfalla a testimonianza del curioso episodio. Nell'immagine qui sotto si vede la creazione di Jones con il cartellino che la designa come "Ecclipsis", ma avvertendo che è un esemplare di "Rhamni arte pictus".

Un altro caso in cui fece la sua comparsa l'inchiostro è quello del rospo ostetrico di Paul Kammerer. Kammerer era uno studioso austriaco che sosteneva l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. Allo scopo di dimostrare questa tesi, compì esperimenti con le salamandre e con i rospi ostetrici. Era del parere che le salamandre pezzate (Salamandra salamandra), nere con macchie gialle, potessero aumentare la superficie della pelle nera o gialla in risposta all'ambiente in cui vivevano e, inoltre, che queste variazioni, acquisite nel corso della loro vita, fossero trasmesse in eredità ai figli.
Il rospo ostetrico (Alytes obstetricans) è così chiamato perché il maschio porta sul dorso le uova deposte dalla femmina. I maschi dei rospi che si accoppiano in acqua sviluppano sulle zampe delle escrescenze dette "guanti nuziali" che servono a tenersi attaccati alle femmine. Nei rospi ostetrici, che si accoppiano sulla terra, ciò non accade. Kammerer, aumentando la temperatura, spinse i rospi ostetrici ad accoppiarsi in acqua e, secondo quanto riferì, alcuni esemplari avrebbero sviluppato i guanti e avrebbero trasmesso questo carattere acquisito alla prole. Altri studiosi che provarono a replicare i suoi esperimenti, però, non ottennero quei risultati.
Nel 1926 Gladwyn Kinglsey Noble, sovraintendente della sezione dei rettili del Museo di storia naturale di New York, per nulla convinto dalle affermazioni di Kammerer, andò a Vienna e chiese di poter esaminare di persona i rospi ostetrici dello studioso austriaco. Kammerer non c'era, ma comunicò l'assenso e Noble potè vedere un esemplare che era stato conservato. Non riscontrò le caratteristiche della pelle che avrebbero dovuto esserci dove si sarebbero formati i guanti. Si vedeva invece il colore più scuro, ma, quando Noble lo esaminò, scoprì che si trattava di inchiostro iniettato nella zampa dell'animaletto. Hans Przibram volle verificare di persone ed ammise che Noble aveva ragione, ma ipotizzò che non fosse colpa di Kammerer, bensì di qualcuno che voleva rovinarlo. Un'altra ipotesi che è stata avanzata è che fosse stato un maldestro tentativo di aiutare Kammerer. Di fatto, però, dopo la pubblicazione dell'articolo di Noble su "Nature" (7 agosto 1926), Kammerer e i suoi esperimenti furono screditati. Poco dopo, il 26 settembre 1926, Kammerer si suicidò.
Nel 1928 un film sovietico, Salamandra, presentò la vicenda come un complotto contro lo scienziato che aveva dimostrato l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, una teoria appoggiata per ragioni ideologiche dall'Unione Sovietica.
Stephen J. Gould ha scritto di pensare che l'esperimento di Kammerer fosse realmente riuscito e che gli altri studiosi non erano riusciti a replicarlo solo perché non erano altrettanto bravi ad allevare i rospi. La sua spiegazione, però, è opposta a quella di Kammerer: i guanti nuziali, secondo Gould, non erano caratteri acquisiti diventati ereditari, ma atavismi che si erano sviluppati in alcuni esemplari e che la selezione naturale aveva favorito - dunque una conferma non dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti, ma, invece, della teoria "rivale" della selezione naturale.
Alexander Vargas ha ipotizzato invece che potesse davvero trattarsi di trasmissione di caratteri acquisiti e che gli esperimenti di Kammerer potessero essere un precoce esempio di epigenetica. E' un'ipotesi che può suonare stimolante, ma è tutta da dimostrare. Lo stesso Vargas riconosce che bisognerebbe replicare gli esperimenti e controllare i risultati per poterlo affermare. Dimostra, però, che la vicenda dei rospi di Kammerer continua ad appassionare gli studiosi.

William Summerlin, che lavorava presso il prestigioso istituto Sloan Kettering di New York, sosteneva che si potessero evitare problemi di rigetto nei trapianti di pelle se si metteva prima il tessuto da trapiantare in una soluzione nutritiva per un certo tempo. Come prova delle sue affermazioni, mostrò un topo bianco sul cui manto si vedeva un rettangolo di pelle nera. Al capo assistente di laboratorio, però, il colore del pelo nero parve un po' strano e provò a pulire la pelliccia dell'animaletto: il nero venne via, rivelando così che il topo era stato colorato con un pennarello. Nel maggio del 1974, il comitato nominato per valutare la vicenda condannò la condotta di Summerlin. Emerse che anche in altri casi lo studioso aveva barato sui risultati.

Le pietre di Ica sono sassi sui quali sono incise immagini in cui si vedono uomini che vivono insieme a dinosauri (in realtà i dinosauri - a parte il ramo che ha portato agli uccelli - si sono estinti più di 60 milioni di anni prima della comparsa dell'uomo), che eseguono quelle che dovrebbero essere complesse operazioni chirurgiche, ecc. La loro diffusione cominciò quando qualcuno le mostrò a un tale Javier Cabrera Darquea che, invece di sospettare una burla, offrì una ricompensa a chi gliene avesse trovate altre. Come è facile immaginare, una volta che fu promessa la ricompensa, le pietre cominciarono a essere "trovate" (ovvero fabbricate) in gran numero. Uno degli autori confessò la truffa, raccontando che la patina che sembrava indicarne l'antichità era in realtà ottenuta mettendo le pietre, una volta scolpite le figure, in un pollaio: quel che sembrava erosione causata dal passare di lunghi tempi era il risultato dell'azione degli escrementi del pollame.

Nel 1869 a Cardiff, a sud di Syracuse (Stati Uniti), durante i lavori per scavare un pozzo, fu trovato un uomo pietrificato. La statura era enorme e fu chiamato il gigante di Cardiff. Fu messo in mostra a pagamento. A vederlo, il falso appare talmente evidente che ci si chiede come è possibile cascarci. Eppure ebbe un grandissimo successo. Il famoso P. T. Barnum, che abbiamo già nominato parlando della sirena delle Figi, voleva acquistarlo, ma i proprietari non glielo cedettero. Barnum allora ne fece una copia (il falso di un falso!) e la espose riscuotendo successo. Gli scienziati, comunque, non si erano fatti ingannare e uno scultore aveva notato segni di scalpello. Alla fine l'ideatore della truffa confessò.

Siccome è l'1 aprile, concludiamo con un pesce. La trota pelosa è un animale immaginario, una sorta di scherzo a cui qualcuno comunque ha voluto dare forma concreta. Negli anni '70 una persona portò al Royal Scottish Museum una trota pelosa tassidermizzata. Era ovviamente un falso e il museo declinò l'offerta. La notizia, però, girò e la gente si recava al museo chiedendo di vedere lo strano pesce, tanto che il museo incaricò un tassidermista di crearne una (anche in questo caso si potrebbe forse dire che era il falso di un falso) da mostrare al pubblico, ovviamente facendo presente che era solo uno scherzo.

 

FONTI:

1984: George Orwell, 1984, Milano : A. Mondadori, 1984, in particolare pp.61-71; la citazione sulle unpersons è a p.42.

Falsificazione di foto in Unione Sovietica: David King, Photographic images should not be relied upon, but even falsified photographs can be illuminating for students of History, “New perspective for modern history students”, 6 : 2 (dicembre 2000), pp.25-27 (qui); Luca Damiani, Bufale : breve storia delle beffe mediatiche da Orson Welles a Luther Blissett, Roma : Castelvecchi, 2004, p.106; Fabrizio Dragosei, Cancellato dal video l’ospite che critica Putin, "Corriere della Sera", 4 giugno 2008, p.17.

Lettera di Zinov'ev: Fake? : the art of deception, ed. by Mark Jones with Paul Craddock and Nicolas Barker, Berkeley – Los Angeles : University of California Press, 1990, pp.72-74.

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Giorgio Castiglioni, bibliotecario a Parè e Moltrasio, è redattore di "Mah".
Comunicazioni: mah.giorgio AT gmail.com