BIBLIOTOPIA

GLI INCOMBUSTIBILI

BIBLIOGRAFIA LEONIANA
scritti su Giuseppe Leoni, l'uomo incombustibile di Parè

di Giorgio Castiglioni

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Le imprese di Leoni fecero molto parlare di lui e furono pubblicati alcuni articoli e opuscoli. Uno di questi è Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet : lettera di *** ad un suo amico A***, pubblicato nel 1808 da Pirotta e Maspero. “Lionnet” è, ovviamente, Leoni.
Lo scritto dell’autore anonimo è datato 20 gennaio 1808 e la pubblicazione avvenne qualche settimana dopo. L’avviso dell’editore premesso al testo porta la data del 24 febbraio 1808 e vi leggiamo che intanto, il 21 di quello stesso mese, al teatro Carcano di Milano si era esibito, “con sufficiente bravura”, un imitatore di Leoni, indicato come il “Secondo Uomo Incombustibile”.
L’autore anonimo di questo opuscolo non ha in grande simpatia Leoni. Anzi, lo attacca definendolo “un misero ciarlatano”. Tuttavia dalle sue parole emerge anche la popolarità del nostro uomo incombustibile dato che l’autore, dispiaciuto, rileva che “ha per più giorni attirato la folla al teatro” e “fatto la meraviglia del volgo”.
Riferendosi ai numeri in cui Leoni faceva passare un ferro rovente sulla pelle, sui capelli e sulla lingua, l’autore ne sminuiva la difficoltà. Se il ferro non restava, “per il più piccolo attimo, permanente sopra verun punto”, diceva, il calore non faceva in tempo a trasmettersi. “Questi esperimenti” sosteneva “possono essere eseguiti da qualunque siasi combustibilissima persona”. L’autore proseguiva criticando altri numeri di Leoni. Il volto era sì esposto alle fiamme, ma mantenendolo obliquo e ad una certa distanza e “destramente soffiando contro le fiamme”. La candela accesa sotto il braccio non poteva nuocergli perché Leoni, camminando per il palco, faceva inclinare la fiamma.
L’autore ricordava quindi che nei testi classici si riferiva che gli Irpini e gli “adoratori della dea Bale e della dea Feronia passeggiavano egli illesi sul fuoco” e imprese simili avevano compiuto le regine inglesi Cunegonda e Emma per dimostrare che le accuse loro rivolte erano false (si riteneva che tali prove avrebbero offeso il colpevole lasciando invece illeso l’innocente).
L’anonimo prendeva poi in esame l’ipotesi che Leoni si servisse di qualche sostanza da spalmare sulla pelle per difendersi dall’azione del calore e delle fiamme. Dopo aver ricordato vari esempi di tali preparati testimoniati in libri e riviste, concludeva comunque che “per la maggior parte delle sperienze che fa il signor Lionnet” non era “necessario l’uso di questi preparati”: a permetterle era piuttosto, a suo parere, la velocità di esecuzione e, in quelle in cui il contatto con la fonte di calore era più prolungato, “quell’incallimento delle parti che si acquista colla lunga abitudine di esporle all’azione del fuoco”. Secondo l’autore, dove ciò non era possibile, come nel numero in cui teneva un ferro rovente coi denti, Leoni soffriva come chiunque, ma fingeva di non sentire nulla.

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All’anonimo opuscolo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet, rispose un altro libretto anonimo, intitolato Lettera sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet : in risposta a quella del 20 Gennajo 1808 di ***, anch’esso pubblicato da Pirotta e Maspero e datato 29 febbraio 1808.
Questo secondo anonimo scriveva che il primo anonimo sbagliava nel ritenere che Leoni facesse uso di un preparato “con cui preservarsi dalle scottature” (in realtà, come abbiamo visto e come gli fu fatto notare in un articolo, anch’esso anonimo, pubblicato sul “Giornale italiano” del 16 marzo 1808, p.306, il primo anonimo aveva detto piuttosto il contrario, affermando che in qualche numero poteva forse usare qualche sostanza, ma che nella maggior parte non ce n’era bisogno). Il parere del secondo anonimo era che “il suo gran secreto altro non fosse che acqua fresca e lestezza di mano”, ovvero, a suo giudizio, bastava inumidire la pelle e far passare velocemente la fonte di calore: il leggero strato di acqua l’avrebbe messa al riparo dalla scottatura.
L’autore riferiva anche che un suo amico gli aveva portato una boccia dicendo che l’aveva sottratta a Leoni e che conteneva il liquido con cui si rendeva incombustibile. Tale sostanza si era rivelata essere semplicemente acqua. “Se è vero che il sig. Lionnet adoperava quest’acqua,” scriveva il secondo anonimo “segno è che conosceva la necessità di rendere la sua pelle umida prima di esporla all’esperimento”. Comunque, aggiungeva, anche se non ne avesse fatto uso, poteva essere sufficiente la “naturale traspirazione” della pelle.
Il secondo anonimo si diceva invece d’accordo con il primo nel giudicare Leoni solo “un meschino ciarlatano da piazza” e ci teneva a precisare che non era andato ai suoi spettacoli. “Io non l’ho veduto operare, mentre creduto avrei di degradarmi”, scriveva, e alla fine del libretto ribadiva di aver voluto togliere “il dubbio ch’io assistito abbia ai giuocarelli del sig. Lionnet”.
Infatti, secondo l’autore dell’opuscolo, Leoni “non meritava l’attenzione di un altro uomo che un grano avesse di sale in zucca”. Considerando, però, che gli aveva dedicato la sua attenzione e aveva addirittura scritto un sia pur breve trattatello su di lui e sui suoi numeri, dobbiamo dunque concludere che il secondo anonimo si giudicava un uomo senza un grano di sale in zucca?
Abbiamo già ricordato più sopra l’articolo che replicava al secondo anonimo dalle pagine del “Giornale italiano”. Su questo stesso giornale, alcuni giorni prima (4 marzo 1808, p.258), era comparso un articolo firmato “Guill.” e intitolato Degli antichi uomini incombustibili. L’autore, “giacché molti non si stancano di parlare sull’uomo incombustibile ultimamente comparso in questa capitale [Milano], e che qui se ne parla molto più che se n’era parlato in Parigi ove fece un’egual comparsa”, aveva voluto “dare un piccolo cenno sopra altri uomini incombustibili, che a’ tempi remoti si videro” e affermava che “non avvi paese che al pari dell’Italia non abbia prodotto altrettante cose maravigliose in simil genere, progredendo dagl’Irpj od Irpiani […] fino all’odierno Comasco Lionnet, il quale nella sua qualità d’Italiano potrebbe derivare da essi”.

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Il successo degli spettacoli in cui il parediense Giuseppe Leoni si presentava come “uomo incombustibile” spinse il farmacista Giuseppe Mora “ad indagare coll’occhio chimico un mezzo, che preservar potesse dalle ingiurie, che produr può una pala di ferro rovente, allorché si fa passare su qualche parte del corpo”.
Fece quindi degli esperimenti e pubblicò i risultati in un opuscolo intitolato Memoria sulla pretesa incombustibilità del sig. Lionnet ossia modo di rendersi incombustibile per un dato tempo anche dopo essersi bagnato con acqua forte, e lavato con acqua e sapone, d’immergere i piedi nel piombo fuso e di bere l’oglio bollente (nell’immagine qui sopra, il frontespizio dell’edizione della stamperia di Pasquale Agnelli di Milano, 1808 – un’altra edizione fu pubblicata da Giovanni Tomassini, “in Milano ed in Fuligno”, sempre nel 1808).
In base alle sue prove, Mora ritenne che il metodo migliore per proteggersi dall’azione di un ferro rovente, da passare “con lentezza sì, ma senza fermarsi”, fosse quello di impiegare una soluzione di solfato di zinco alla quale suggeriva di aggiungere “un poco di gomma arabica polverizzata, e di zuccaro rossiccio, ossia grasso” per rendere il preparato “più aderente alla cute” e, insieme, meno visibile. La stessa mistura, ma senza lo zucchero, si poteva spalmare sui piedi per poterli poi immergere nel piombo fuso. Per impedire che il lavaggio con acqua e sapone o il versarvi sopra acido nitrico intaccassero il preparato spalmato sulla pelle, secondo Mora, si poteva sovrapporre uno strato di una miscela ottenuta con “mastice scelto sottilmente polverizzato, […] terebinto chiaro, […] spirito di vino rettificatissimo”.
In bocca, osservava il farmacista, non si poteva usare alcun preparato, tuttavia si poteva superare senza alcun danno o dolore la prova del bere l’olio bollente se lo si inghiottiva in un modo particolare. Tenere un ferro rovente tra i denti, secondo Mora, era possibile: “per le prime volte avrà sofferto dell’incomodo, che poi reso per dir così morto il nervo di questi lo farà senza pena”. Si diceva però convinto “che in breve perderà i suoi denti”. Per quanto riguardava poi il numero di mettere in bocca del piombo fuso, Mora pensava semplicemente che Leoni non lo facesse davvero.
Una recensione decisamente ostile all’opuscolo di Mora fu pubblicata sulla “Gazzetta di Milano” e poi inclusa in una Raccolta delle lettere, risposte, memorie, articoli etc. sulla pretesa incombustibilità di Giuseppe Lionnet (Milano : Pirotta e Maspero, 1808) che comprendeva anche i due opuscoli anonimi di cui si è parlato nelle due puntate precedenti di questa bibliografia leoniana, la risposta al secondo di questi pubblicata sul “Giornale italiano” (citata anch’essa nel numero precedente) e, con alcuni tagli, un articolo di Carlo Amoretti del quale parleremo nella prossima puntata e quello firmato “Guill.” di cui abbiamo detto nello scorso numero.
Il recensore del libretto di Mora sosteneva che il farmacista non avesse detto nulla di nuovo rispetto all’opuscolo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet e che scrivesse in un pessimo italiano (“Di simili inesattezze di locuzione occorrono più esempj in questo brevissimo opuscolo. Gli errori di lingua sono poi infiniti”).

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Il “Giornale della Società d’incoraggiamento delle scienze e delle arti” si occupò di Giuseppe Leoni in un articolo intitolato Degli uomini che diconsi Incombustibili (I, 1808, pp.215-224) e firmato C. A., iniziali che ci conducono al naturalista Carlo Amoretti.
Secondo Amoretti i trucchi erano eseguiti in modo tale “che gli spettatori poterono bensì sospettare, ma non accorgersi che il Lionetti [ovvero Leoni] adoperasse alcun mezzo per impedire l’azione del fuoco sulle sue membra”.
Tuttavia, di fronte ad osservatori particolarmente attenti, trovandosi – scrive il naturalista – “sul procinto di essere scoperto”, l’uomo incombustibile “stimò opportuno di confessare che d’una certa unzione si valea, raccomandandosi al tempo istesso di non ismascherarlo presso il pubblico, che altronde da’ suoi cimenti tanto traea diletto quanto egli ne ricavava vantaggio. Così fu fatto”.
Amoretti ricordava che era anche comparso un emulo di Leoni che era chiamato il “Secondo uomo incombustibile” e che faceva “a un di presso le medesime prove”. Il naturalista passava quindi a indicare “brevemente […] alcuni dei mezzi che gli antichi per quest’oggetto [ovvero per difendersi dalle ustioni] conoscevano e che ci hanno trasmessi”. Citava Apollonio Rodio, Pierio Valeriano, Alberto Magno ed altri, ricordando anche un altro personaggio che si era esibito come uomo incombustibile, l’inglese Richardson, di cui aveva parlato il “Journal de Sçavans” nel 1680. Concludeva quindi che non era “né maraviglioso né nuovo lo spettacolo di persone, che sostengono altissimi gradi di calorico, e maneggiano il vivo fuoco”.
Questo articolo di Amoretti fu poi riproposto in una raccolta di scritti su Leoni (Raccolta delle lettere, risposte, memorie, articoli etc. sulla pretesa incombustibilità di Giuseppe Lionnet, Milano : Pirotta e Maspero, 1808, pp.37-44) in una forma un poco ridotta (manca una parte che nell’articolo originale è alle pp.219-221 e la parte finale posta dopo la firma “C. A.”, alle pp.223-224 – la nota alle pp.221-222 è incorporata nel testo).
Ad Amoretti sono da attribuire anche le recensioni a tre scritti su Leoni firmate con una A maiuscola pubblicate sotto il titolo Transunto d’altre Memorie pubblicate su quest’oggetto sulla rivista “Nuova scelta d’opuscoli interessanti” (II, 1808, pp.245-250) in coda ad un articolo sull’uomo incombustibile parediense di Giambattista Giovio di cui parleremo prossimamente. I tre scritti recensiti sono l’opuscolo anonimo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet del quale abbiamo detto più sopra in questa “Bibliografia leoniana”, l’articolo di Amoretti presentato qui sopra e il libretto di Giuseppe Mora.
Amoretti non condivide la “soverchia non necessaria asprezza” che l’anonimo usa contro Leoni, “che senza nuocere a nessuno, e divertendo i curiosi si studia d’acquistar danari con un mezzo non vietato dalle leggi. Oh! Se tutti quei che veggiamo ricchi fossersi locupletati sì innocentemente!”

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Alcuni degli scritti che abbiamo presentato e altri di cui parleremo nei prossimi hanno il grande merito di aver descritto i numeri che Giuseppe Leoni presentava. Pochissimo, invece, possiamo ricavare da essi sulla persona di Leoni. Per questo è di fondamentale importanza, nella bibliografia leoniana, l’articolo scritto dall’erudito comasco Giambattista Giovio (Su Giuseppe Leone detto l’Incombustibile, in “Nuova scelta d’opuscoli interessanti”, II (1808), pp.239-245).
Carlo Amoretti, nell’articolo per il “Giornale della Società d’Incoraggiamento” di cui abbiamo parlato nello scorso numero e che Giovio lodò dicendolo “pieno di saggia ed amena erudizione”, diede ai suoi lettori un’indicazione sulla provenienza di Leoni presentandolo come “il Comasco Giuseppe Lionetti” e anche Giorgio Follini (del cui interessantissimo libretto non mancheremo di parlare) lo disse “di nazione comasco”. Giovio fu ancora più preciso e segnalò che il paese dell’uomo incombustibile era Parè, dove era nato il 5 aprile 1778 da Caterina Bianchi e Gregorio Leoni. Aveva lavorato come garzone a Como e poi, passato al servizio di tale Galeazzo Serbelloni, lo aveva seguito in Francia. Tornato poi in quel paese, aveva sposato una francese, dalla quale aveva avuto una figlia, morta di rosolia a soli sette anni in Olanda.
Secondo il giudizio di Giovio, Leoni parlava “con istento” in italiano, ma padroneggiava bene il francese. Non sapeva leggere né scrivere, cosa che era per lui una “gran pena”.
Giovio, che ebbe modo di conoscere personalmente Leoni a Como nel febbraio del 1808, riferì che l’uomo incombustibile gli era sembrato fin ingenuo. Più accorta doveva essere la moglie che, quando pensava che Giuseppe avrebbe potuto dir qualcosa che facesse scoprire i trucchi del mestiere, “gli lanciava talvolta occhiate, talvolta un imperioso = tais-toi” (“taci!”).
Diversamente da altri autori, come i due anonimi di cui abbiamo detto nelle prime due puntate, Giovio mostra simpatia per Leoni e sottolinea l’affetto mostrato per la madre e la generosità di cui diede prova: “Il denaro raccolto all’ingresso nella prima volta dello spettacolo [al teatro di Como] si distribuì da lui a poveri della parrocchia del Duomo, e di Parè sua terra natale”.
Per quanto riguardava i numeri di incombustibilità, Giovio era del parere “che si adoperino dallo stesso unzioni e rimedj, ma certo in gran parte avvezzò egli la cute a soffrire”. Il vedere “fumar forte” un piede che Leoni aveva appoggiato su una lama rovente gli faceva pensare che vi avesse spalmato qualche sostanza. L’anonimo autore dell’opuscolo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet aveva scritto che i denti di Leoni, per aver stretto più volte un ferro rovente, dovevano certamente essere malconci, ma Giovio, in base all’osservazione diretta, lo smentiva: “io con altri per più ore li vidi bianchi con mia meraviglia e parvermi sodi”.

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La sera del 16 dicembre 1807 Giuseppe Leoni eseguì i suoi numeri davanti a un gruppo di studiosi guidato dall’abate Giorgio Follini, professore di fisica al seminario di Torino. Ne dava notizia il giornale torinese in lingua francese “Le Courrier de Turin” (n.251, 26 dicembre 1807, p.1178). In un breve resoconto si riferiva che Follini, prima delle dimostrazioni, aveva fatto strofinare per bene con alcool le mani, le braccia e i piedi dell’uomo chiamato “le véritable incombustible” (“il vero incombustibile”). L’intento era ovviamente quello di rimuovere un eventuale sostanza protettiva spalmata sulla pelle e in effetti Leoni aveva riportato una bruciatura quando era stato versato acido nitrico sul suo braccio e aveva “dovuto dichiarare che non era fatto di ferro, ma un uomo come gli altri”. Anche il piede sinistro aveva subito una bruciatura. Il giornale annunciava che Follini avrebbe dato alle stampe un rapporto su quelle “esperienze”.
L’autore dell’opuscolo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet : lettera di *** ad un suo amico A***, di cui abbiamo parlato all'inizio di questa “bibliografia leoniana”, scriveva in una nota (p.29) che “finora non è comparso questo rapporto” e aggiungeva questo commento: “Forse il sig. abate Follini, dopo maturo pensamento, avrà temuto con un suo scritto soverchia importanza a cosa che molta veramente non ne merita”.
Follini, invece, pubblicò il suo libretto su Leoni: Osservazioni fisiche dell’abate Giorgio Follini professore di filosofia e di fisica e geometria nel seminario metropolitano di Torino sul preteso vero uomo incombustibile signor Giuseppe Lionnet di nazione comasco (Torino : dalla stamperia di Bernardino Barberis, 1808). Il fatto che Follini e gli altri che furono con lui poterono osservare da vicino e effettuare controlli sui numeri presentati da Leoni rende ovviamente di estremo interesse questo opuscolo. L’autore descrive tali numeri e aggiunge le sue osservazioni con l’intento di dimostrare che il successo delle sue prove poteva essere spiegato con “l’uso di qualche sostanza poco conduttrice del calorico, l’abitudine, e la destrezza di mano”.
Per quanto riguarda l’impiego di qualche preparato, Follini riferì di aver osservato al microscopio l’alcool “con cui strofinato esso venne” e di essere così giunto alla conclusione che Leoni utilizzava l’allume. Anche l’esame “col gusto” confermò il verdetto. Anche sulla lingua dell’uomo incombustibile era stata osservata “una densa, e bianca mucillagine”.
La relazione di Follini prova anche che Leoni era dotato di prontezza e abilità. In un suo numero, l’incombustibile parediense apparentemente si metteva in bocca del piombo fuso, lo masticava e lo sputava solidificato. L’ovvio sospetto è che Leoni di nascosto si mettesse in bocca un pezzetto di piombo non liquefatto e fingesse soltanto di porvi quello fuso. Per impedirgli di usare questo trucco, si ebbe cura di sciogliere tutto il piombo. L’incombustibile concluse comunque la prova sputando un frammento metallico. Era però di stagno e non di piombo. Leoni, per dimostrare che il piombo era davvero fuso, vi aveva immerso un cucchiaio di stagno: la parte introdotta nel metallo liquido si era sciolta. Gli studiosi pensarono quindi che Leoni, senza farsi notare da chi lo controllava, fosse riuscito a “destramente togliere dal manico, che sopravanzò la porzione di stagno, che sputò fuori” e il fatto che “veramente il manico del cucchiajo più non si ritrovò” avvalorava l’ipotesi.

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Quando Luigi Sementini, professore di chimica all’università di Napoli, sentì annunciare l’arrivo del “Signor Lionetti”, ovvero Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile di Parè, pensò che fosse un caso molto interessante. Così decise di “assistere assiduamente agli sperimenti” di Leoni cercando di avvicinarsi il più possibile “onde osservar minutamente quanto di più significante potesse esservi”.
Sulla base di quanto vide e degli esperimenti che poi compì scrisse un opuscolo, Sul preteso fenomeno del incombustibilità : memoria del Dottor Fisico Luigi Sementini professore primario di chimica nella regale Università degli Studj in Napoli (edito da Vincenzo Cava).
Il chimico descriveva i diversi numeri fino a quello “col quale soleva il Sign. Lionetti terminare lo spettacolo” che consisteva “passarsi attraverso la cute del braccio una grossa spilla d’oro” (questo numero – che è di insensibilità piuttosto che di incombustibilità – non è citato dagli altri autori che abbiamo ricordato nelle precedenti puntate di questa bibliografia).
Sementini non voleva limitarsi a “semplici congetture” e fece esperimenti sulla sua pelle (in senso letterale) e sulla sua lingua. Scoprì così che usando allume o “acido zolforoso” e sapone (che “uno strato sottile di zucchero ridotto in polvere finissima” poteva rendere più aderente) poteva metterle al riparo dall’azione del fuoco.
Sementini riteneva di avere “sciolto dunque il mistero della pretesa incombustibilità”.
Il saggio di Sementini fu apprezzato anche fuori dai confini italiani. Il “Philosophical Magazine” e pubblicò una traduzione in inglese (Memoir on the Incombustible Man; or the pretended Phenomenon of Incombustibility) che comparve poi anche sulla rivista statunitense “Select Reviews, and Spirit of the Foreign Magazines” (vol. III, 1810, pp.133-138). La “Bibliothéque britannique” di Ginevra (14 : 41 (1809), “Science et arts”, pp.383-394) pubblicò la traduzione in francese (compiuta sulla traduzione inglese del “Philosophical Magazine”).
La rivista inglese “Retrospect of philosophical, mechanical, chemical, and agricultural discoveries” (vol. IV, 1809) presentò un sunto dello scritto di Sementini e riferimenti a tale opuscolo comparvero ancora in seguito in riviste, per esempio in “The Edinburgh Magazine, and Literary Miscellany”, in un articolo scritto in occasione degli spettacoli a Edimburgo di una donna incombustibile, la signora Girardelli (Some account of signora Girardelli, the incombustible lady now exhibiting in Edinburgh…, II (1818), pp.437-448) e in “The Gentleman’s Magazine and Historical Chronicle”, in un articolo ispirato dal successo di un altro incombustibile, Chabert (On resisting the effects of fire, XCVI (1826), pp.601-606), e in libri come il Traité des erreurs et des prejugés di Gratian de Semur (Paris : Alphonse Levavasseur, 1843), che dedica a les hommes incombustibles un capitolo (pp.325-338) nel quale molto spazio è dato a “Lionetti” e a Sementini (cfr anche A World of Wonders with anecdotes and opinions concerning popular superstitions, London : Richard Bentley, 1853, pp.11-22, dove “Lionetti” diventa non si sa perché “a Sicilian” – p.20) o il Nouveau manuel complet de physique amusant di Jean-Sébastien-Eugène Julia de Fontenelle e François Malepeyne (Paris : Roret, 1860, pp. 36-37).

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Il 26 gennaio 1808 Alessandro Volta scrisse una lettera a Giuseppe Comparini per ringraziarlo delle notizie che gli aveva comunicato su alcune scoperte fatte dal chimico inglese Humphry Davy.
Proprio in quei giorni l’incombustibile parediense Giuseppe Leoni si era esibito a Milano nei suoi numeri, guadagnando una grande popolarità. Volta, anzi, scriveva un po’ amareggiato che, fatta eccezione per gli addetti ai lavori, tra la gente destavano molto più interesse i numeri di Leoni che le “stupende scoperte” di Davy.
Trascriviamo le righe in cui Volta parla dell’uomo incombustibile (l’intera lettera può essere letta nell’Epistolario di Alessandro Volta, vol. V, Bologna : Zanichelli, 1955, pp.117-118 – la parte citata è a p.118):
“Anche tra noi le scoperte del Davy hanno eccitato un grande entusiasmo, presso i pochi però che delle Scienze fisiche o chimiche sono professori o dilettanti, nel resto, non dirò solo del popolo, ma del bel mondo ancora, ne’ crocchj, nelle conversazioni, e teatri, molto maggior ammirazione e stordimento va eccitando il sedicente uomo incombustibile che di presente trovasi a Milano, ed ha dato già più volte lo spettacolo delle sue prove coi ferri roventi, piombo fuso, olio bollente, ecc. da cui sembra non soffrire scottatura. A fronte di queste imponenti esperienze (che pure si sa da alcuni, e dovrebbe sapersi da moltissimi, che non si sono sostenute all’esame accurato e giudizioso di professori ed Accademici, che a Parigi, ed altrove ne hanno dissipato il prestigio) sembrano qui comunemente cosette da nulla e le suaccennate scoperte chimiche, ed altre simili; si stima solo, si ama il mirabile spettacoloso; e poi è di moda, che le cose che han fatto per qualche tempo romore a Parigi, ancorché siano colà già cadute e sventate, faccian la stessa romorosa comparsa anche fra noi.”
Nel 1927, Felice Scolari scrisse per il “Corriere della Sera” (5 marzo 1927, p.3) un articolo su Volta nel suo carteggio. Tra le lettere citate come esempi c’era anche questa in cui compariva Leoni, che Scolari presenta come un “gabbamondo” per il quale le gente era pronta a “buttar denari”, “un ciurmadore, che [...] aveva accumulato un buon gruzzolo dando ai gonzi la persuasione” di poter trattare senza danno con ferri roventi, piombo fuso e olio bollente.
Qualche mese dopo, lo stesso Scolari ricordò nuovamente la lettera di Volta in un articolo per il “Corriere delle Prealpi” (Volta, Fucini e l’“uomo incombustibile”, 7-8 agosto 1927, p.1). Anche in questa occasione definì Leoni come “un ciurmadore” dotato di grande “faccia tosta”, un “gabbamondo che girò quasi mezza Europa facendo denari a tutte spese della credulità del prossimo”. In questo articolo Scolari ricorda però anche che l’incombustibile aveva fatto una donazione ai poveri di Parè. Questo “atto generoso”, secondo Scolari, sarebbe stata “la sua rovina” in quanto avrebbe rivelato che l’uomo che si presentava con il nome francese di “Monsieur Lionnet” altri non era che il parediense Giuseppe Leoni: a suo parere i suoi compaesani potevano ricordare i “primi tentativi”, ancora “ingenui”, nella sua arte e questo avrebbe nuociuto alla sua fama di vero uomo incombustibile.

9

Il “Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti e Biblioteca italiana”, t. IX (1844), pp.33-34, riferiva, sotto i titolo Appendice alla Memoria del professore Belli intorno ai fenomeni della evaporazione, i contenuti di una “lettura” di Angelo Bellani all’adunanza del 2 maggio 1844 in cui veniva ricordato Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile di Paré: “Ma fra tutte le sperienze, quelle che faceva al principio di questo secolo un certo Leone comasco, detto l’uomo incombustibile, di bevere cioè il piombo fuso, e l’olio bollente senza soffrirne, erano le più straordinarie, e credute piuttosto un prestigio da coloro medesimi che lo vedevano coi proprj occhi”. Bellani “assicurò non esservi finzione” e il segretario dell’istituto “ben si rammenta di aver veduto in casa sua lo stesso Leone ripetere le principali prove”. Ciò non doveva però fare “maraviglia”, si spiegava, “quando si rifletta che per quanto sia caldo un corpo non può comunicare ad un liquido che una temperatura non superiore al suo grado di ebullizione” e quindi né l’olio né il piombo “potevano comunicare nel loro ripido passaggio lungo l’esofago, del continuo umettato, una temperatura superiore all’acqua bollente; e questa stessa temperatura doveva molto perdere della sua intensità nel diffondersi e comunicarsi alle parti sensibili, non essendo stato che superficiale e durativo un solo istante il passaggio di quella sostanza riscaldata”.
Anche Giovanni Polli, curatore degli “Annali di chimica applicata alla medicina” ricordò in un articolo su questa rivista (Sulla incombustibilità e sulla insensibilità al fuoco: nota di G. P., VIII (1849), pp.186-194) “Giuseppe Lionetto da Como” come “più maraviglioso degli altri” uomini incombustibili (p.188). In un successivo articolo su tale rivista (Continuazione dell’Esame critico delle ultime esperienze annunziate da Boutigny (d’Evreux) e da altri, sull’azione innocua dei metalli roventi sopra il corpo umano, ivi, pp.276-306; la nota su Leoni è alle pp.295-297) Bellani svelava quelli che, a suo avviso, erano i trucchi impiegati da Leoni. Secondo lui, Leoni spalmava su braccia, gambe e capelli una sostanza, che supponeva fosse sapone, che lo salvava da bruciature e di proposito teneva i suoi numeri a ora tarda quando alla luce artificiale, meno forte di quella del giorno, era difficile per chi non si avvicinasse molto vedere tale materia. Inoltre, proseguiva Bellani, la paletta da fuoco rovente veniva fatta scorrere solo “coll’estremità di quella, ossia col suo spigolo non più rovente”. Secondo lo studioso, era anche possibile che, prima del numero in cui “tranguggiava qualche oncia di piombo fuso, o qualche cucchiajo di olio in apparenza bollente”, inghiottisse un pezzo di sapone molle. La nota di Bellani è interessante anche per la biografia dell’incombustibile parediense. Riferisce infatti che, dopo gli spettacoli in Lombardia, “partì pel resto dell’Italia con certo Noseda; e si vuole che sia morto in Napoli volendo far la prova di entrare in un forno molto riscaldato”. Lo studioso ricordava anche che altri a Milano vollero imitarlo, “però si riducevano a far scorrere la paletta sulle braccia”.
Bellani citò Leoni ancora nell’articolo Se con la sola legge della tensione dei vapori e della diminuzione di temperatura prodotta dalla loro formazione, si possano spiegare i fenomeni stati ultimamente annunziati da Boutigny e da altri, in il “Giornale dell’I. R. Istituto lombardo di scienze, lettere e arti e Biblioteca italiana”, t. II (1850), pp.3-27 (Leoni è citato alle pp.20-21).

10

Giberto Scotti fu uno dei più autorevoli medici comaschi del XIX secolo. Oltre ad esercitare la sua professione, si dedicava anche alla scrittura e fu autore del romanzo Il tesoro che fu dapprima pubblicato a puntate sul “Corriere del Lario” nel 1851 e poi raccolto in un volume (Il tesoro : racconto del D.r G. S., Como : Annibale Cressoni, 1852) nel quale era preceduto da un racconto più breve intitolato Le brache di pelle.
Le vicende del romanzo Il tesoro sono ambientate tra Moltrasio, paese che Scotti ben conosceva essendone stato per alcuni anni medico condotto, e Como.
Il tesoro del titolo è quello che il ciarlatano Trincavelli promette di far trovare al moltrasino Giacomo Spelazzani se seguirà i suoi consigli. Inutile aggiungere che Trincavelli punta in realtà ad arricchirsi a spese del povero Giacomo il quale, da parte sua, è prontissimo a farsi abbindolare da Trincavelli. Anche Ghitta, figlia di Giacomo, per quanto più accorta del padre, finisce per subire il fascino del truffatore che appare di uno stato sociale superiore a quello del suo fidanzato, il cavapietre Baldassare.
Il giovedì santo, Giacomo, Ghitta e Baldassare si recano a Como per andare a baciare, secondo l’uso, il Crocifisso della chiesa dell’Annunciata e per visitare la fiera che si tiene in quella occasione. Passano tra venditori di tortelli e di panni e hanno modo di vedere attrazioni come un orso che danza, “balli acrobatici” e “piramidi viventi”, un cammello e una scimmia e ad un certo punto si imbattono nell’annuncio di uno spettacolo dell’uomo incombustibile parediense. Ecco come Giberto Scotti immagina la scena (“Il Corriere del Lario”, n.46, 12 novembre 1851, supplemento; nel libro è alle pp.144-145):
“Poi sopra un’asta elevata leggevasi un gigantesco avviso, dipinto a caratteri fantastici e barocchi, dinnanzi al quale arrestavasi tanto più curiosa la folla, in quanto che erane straniero il linguaggio. Sopravveniva allora qualche dotto, qualche scienziato, che tutto pago di poter dare pubblica mostra di poliglottismo, ne faceva la spiegazione, e diceva esser quello un annunzio in francese di certo Monsieur Joseph Lyonnet, come qualmente nelle prossime feste avrebbe fatte nel Nuovo Teatro (accanto al Duomo, dove esiste ora l’archivio comunale) mirabili sperienze di incombustibilità, passeggiando su lastre infuocate, maneggiando palle arroventate, ingojando olio bollente, ed altre simili galanterie”.
Seguiva un dialogo in cui una persona si chiedeva se quel personaggio capace di compiere simili prodigi non fosse “dunque fratello del diavolo”, ma un altro rispondeva che era, al contrario, “un buon cristiano”. In una nota, Scotti precisava che Lionnet era “posteriore d’alquanto all’epoca che descriviamo; ma in questa generale rivista di tanti ciarlatani di ogni razza e colore, era proprio un peccato dimenticarlo”. Ricordava quindi che, “benché infranciosato il nome, egli è comasco: chiamavasi Giuseppe Leone ed era nato da poveri genitori a Parè” e dava qualche notizia su di lui traendola dall’articolo di Giambattista Giovio di cui abbiamo parlato di cui abbiamo parlato nella quinta puntata di questa bibliografia leoniana (“Topo” n.72, maggio 2008).

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Nel primo numero del “Periodico della Società Storica Comense” (1878) fu pubblicata una biografia sino allora inedita di Candida Lena Perpenti scritta da Maurizio Monti, seguita da alcune aggiunte di Gaetano Bonizzoni. Candida Lena Perpenti aveva, tra l’altro, ideato un modo di effettuare la filatura dell’amianto e Bonizzoni ricordava quindi gli abiti di amianto che Giovanni Aldini e Antonio Vanossi avevano realizzato proponendo di farli usare ai pompieri per difenderli dalle fiamme (Abiti incombustibili ed esperienze del cav. Aldini e di Vanossi, ivi, pp.62-63).
Dato che si parlava di incombustibilità, poi, Bonizzoni pensò bene di aggiungere un contributo su Giuseppe Leoni (Monsieur Lionnet, ivi, pp.63-64). Dopo qualche cenno biografico, tratto dall’articolo di Giambattista Giovio, così concludeva: “Noi siamo d’avviso che il Leoni si procurasse la sua incombustibilità con una mescolanza d’allume e d’amianto legata con glutine o con argilla”.
Anche un altro articolo su Candida Lena Perpenti, scritto da Felice Scolari (Candida Lena-Perpenti, in “Novocomum”, n.12, 24 marzo 1901, pp.90-92), citava l’incombustibile parediense. Scolari cominciava il suo articolo scrivendo che il 9 febbraio 1812 una ragazza che si faceva chiamare “Nannetta l’incombustibile” si era esibita a Como con numeri nei quali “toccava ferri infocati con la lingua, batteva fortemente, coi piedi nudi, spranghe arroventate, beveva dell’olio bollente, si lavava le mani nell’acqua forte. Ma i comaschi non vi fecero gran caso, perché quattro anni prima […] avevano assistito in teatro ad esperimenti di incombustibilità, ben più straordinari, eseguiti da Monsieur Lionnet. Questi non solamente danzava sopra ferri roventi, ma li percuoteva e storceva coi pugni; versava piombo fuso nel cavo della mano, esponeva il viso a fiamme violentissime”. Scolari ricordava che Leoni, “furbo ed intraprendente”, aveva raccolto “applausi e quattrini” con i suoi spettacoli e che, quando si era esibito a Como, aveva fatto una donazione ai poveri di Parè, suo paese nativo.
Anche il famoso illusionista Harry Houdini, nel suo libro Miracle Mongers and their Methods (New York : Dutton, 1920; ristampato nel 1929, p.41), ricordava il “Señor Lionetto” che avevano guadagnato l’attenzione del professore di chimica “Dr. Sementeni” (ovvero Luigi Sementini – vedi sopra).
In tempi più recenti, Giancarlo Pretini, nel suo volume Il palcoscenico incantato : dall’illusione della Magia Nera a quella proclamata del trucco che c’è ma non si vede (Udine : Trapezio Libri, p.152), ha citato le “esibizioni straordinarie” del “comasco Giuseppe Lionnet” con i suoi numeri di incombustibilità. Pretini cita come fonti l’opuscolo di Giuseppe Mora (di cui abbiamo parlato nella terza puntata di questa bibliografia, sul “Topo” n.70, del marzo 2008), quello dal titolo Sulla pretesa incombustibilità del Sig. [Giuseppe] Lionnet (prima puntata, “Topo” n.68, gennaio 2008) e quello di Giorgio Follini (sesta puntata, “Topo” n. 73, giugno 2008).

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Anni fa mi ero imbattuto nella vicenda di Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile di Parè.
Nell’agosto del 2001, quando andai a Parè per visitare l’archivio parrocchiale per il Censimento degli archivi dei Comuni e delle Parrocchie della Provincia di Como (pubblicato come cd da Regione Lombardia e Provincia di Como nel 2002), approfittai quindi dell’occasione per cercare l’atto di battesimo ed eventuali altri documenti su Leoni (trovai il suo nome in alcuni “stati d’anime”) e, visto che la mia ricerca aveva suscitato curiosità verso questo personaggio nativo del paese, ma dimenticato, promisi di mandare un articolo su di lui. Questo mio contributo fu poi pubblicato con il titolo Giuseppe Leoni: l’uomo inconbustibile [sic] di Parè sul bollettino della parrocchia di Parè “L’amico”, n.33, aprile 2003, p.10.
Nel frattempo, dall’inizio del 2003, ero stato assunto come bibliotecario del comune di Parè. Questo, ovviamente, mi ha dato un’ulteriore motivazione per occuparmi dell’incombustibile parediense.
Nello stesso 2003, scrivendo alcuni Cenni storici di Parè per una cartina del paese (Comune di Parè : cartina toponomastica, Adro : Eurgrafica, 2003), ho inserito qualche riga su Leoni (e da qui sembra essere ripreso il cenno sull’incombustibile parediense in Renato Manzoni, Parco Spina Verde, Como : Enzo Pifferi, 2005, p.38).
L’occasione per parlare in modo più esauriente di Leoni mi è stata offerta dalla rivista “Magia”, diretta da Massimo Polidoro. In un numero dedicato alle “Magie del corpo” è stato pubblicato il mio articolo dal titolo L’incombustibile Leoni (“Magia”, n.5, 2007, pp.42-48), nel quale ho descritto i numeri presentati nei suoi spettacoli dall’uomo incombustibile e ho riferito come i suoi contemporanei cercavano di spiegarli.
A questo articolo fa riferimento la breve nota su Leoni presentata su “Mah” alla fine del 2007 (Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile, “Mah”, n.10, dicembre 2007, p.1).
Nel 2008 ad ospitare un altro mio articolo su Leoni è stata la rivista “Dialogo” (Giuseppe Leoni, l’incombustibile Parediense, “Dialogo”, n.15, aprile – maggio 2008, pp.36-37).
Nel marzo del 2008 ho creato la voce su Giuseppe Leoni nella Wikipedia in lingua italiana.
Per tutto il 2008 la terza pagina di questa rivista è stata dedicata a questa “bibliografia leoniana”, nella quale ho ricordato quanto dai suoi tempi ad oggi è stato scritto sull’incombustibile parediense.
Per chi fosse interessato a leggere i testi citati, presto la biblioteca di Parè renderà disponibili le ristampe di opuscoli e articoli, con mie prefazioni e note al testo.
A questo proposito, colgo l’occasione per ringraziare Giovanni “Roxy” Pasqua, proprietario della libreria “Mirabilia” di Torino, specializzata in testi sull’illusionismo, e di una collezione personale di testi su tale argomento, per averci gentilmente (e del tutto gratuitamente) mandato le fotocopie di alcuni opuscoli sull’uomo incombustibile in suo possesso.
Per concludere ricordo che il sito di Bibliotopia ha una sezione “Il mondo di Giuseppe Leoni”:
http://bibliotopia.altervista.org/leoni/

 

 


Questa "bibliografia leoniana" è stata pubblicata a puntate nei numeri del 2008 su "Il topo di biblioteca", foglio informativo delle biblioteche di Drezzo, Gironico, Moltrasio e Parè.